Carl Gustav Jung

La psicoanalisi e Freud

Newton Compton, Roma  1978

[…]

L’analisi dei sogni
(1909)

Nel 1900 Sigmund Freud pubblicò a Vienna una voluminosa opera sull'analisi dei sogni. Ecco i principali risultati delle sue ricerche.

Il sogno, ben lungi dall'essere un complesso di associazioni confuse e prive di significato — come comunemente si crede — o il semplice risultato di sensazioni somatiche che si producono durante il sonno — come ritengono molti autori — è un prodotto autonomo dell'attività psichica, dotato di significato e suscettibile, come tutte le altre funzioni della psiche, di un'analisi sistematica. Le sensazioni organiche avvertite durante il sonno non sono la causa del sogno; giocano solo un ruolo secondario e forniscono soltanto gli elementi (il materiale) sui quali lavora la psiche. Secondo Freud il sogno, come ogni prodotto psichico complesso, è una creazione, prodotto di un lavoro, che ha i suoi motivi, e si costruisce su una catena di associazioni antecedenti; e, come ogni altra manifestazione di pensiero in atto, è il risultato di un processo logico, della competizione tra varie tendenze e della vittoria di una tendenza sull’altra. Sognare ha un significato, come ogni cosa che tacciamo.

Si può obiettare che tutta la realtà empirica è contro questa teoria, poiché è nota l'impressione di incoerenza e di oscurità che ci danno i sogni. Freud chiama questa serie di immagini confuse il contenuto manifesto del sogno; è la facciata dietro la quale egli cerca i dati essenziali — cioè il pensiero-sogno o contenuto latente. Ci si può domandare quale ragione abbia Freud per pensare che il sogno sia la facciata di un grande edificio, o che abbia realmente un significato. La sua supposizione non è basata su un dogma, né su un'idea a priori, ma sul solo empirismo — cioè sull'esperienza comune che nessun fatto psichico (o fisico) è accidentale, ma deve avere una sequenza di cause, in quanto prodotto di una complicata combinazione di fenomeni, posto che ogni elemento mentale esistente è il risultato di stati psichici anteriori e dovrebbe, in teoria, essere suscettibile di analisi. Freud applica al sogno lo stesso principio che usiamo sempre istintivamente quando indaghiamo sulle cause delle azioni umane.

Freud domanda, molto semplicemente: perché questa persona sogna questa cosa? devono esserci delle ragioni specifiche, altrimenti ci troveremmo di fronte a un'eccezione nella legge della causalità. Il sogno di un bambino è diverso da quello di un adulto, proprio come il sogno di un uomo colto differisce da quello di un analfabeta. C'è qualcosa di individuale nel sogno; esso si accorda con la disposizione psicologica del soggetto. In cosa consiste questa disposizione psicologica? Essa è il risultato del nostro passato psichico; il nostro stato mentale attuale dipende dalla nostra storia. Nel passato di ogni persona ci sono elementi di diverso valore che determinano la costellazione psichica. Gli avvenimenti che non hanno risvegliato forti emozioni hanno poca influenza sui nostri pensieri e sulle nostre azioni, mentre quelli che hanno provocato reazioni violente sono di grande importanza per il nostro successivo sviluppo psicologico. Questi ricordi con forti intensità di sentimento formano complessi di associazioni che non durano molto a lungo, ma sono molto potenti e strettamente connessi fra loro. Un oggetto che considero con poco interesse suscita poche associazioni e svanisce presto dal mio orizzonte intellettuale. Al contrario, un oggetto per cui provo molto interesse evocherà numerose associazioni e mi preoccuperà per molto tempo. Ogni emozione produce un complesso di associazioni più o meno vasto che ho chiamato il «complesso di idee di intensità di sentimento». Studiando la storia di ogni singolo caso, scopriamo sempre che questo complesso esercita una maggiore forza «di costellazione» e da ciò deduciamo che in ogni analisi lo si incontrerà sin dall'inizio. I complessi appaiono come i principali componenti della disposizione psicologica in ogni struttura psichica. Nel sogno, per esempio, incontreremo le componenti emotive, perché è facile comprendere che tutti i prodotti dell'attività psichica dipendono soprattutto dalle più forti influenze «di costellazione».

Non c'è bisogno di cercare lontano per trovare il complesso che muove Gretchen, quando nel Faust canta:

C'era un re a Thüle,

Fedele fino alla morte

— A lui la sua amante morente

Diede una coppa d'oro.

Il pensiero nascosto è il dubbio di Gretchen sulla fedeltà di Faust. La canzone scelta inconsciamente da Gretchen, è ciò che abbiamo chiamato materiale del sogno, che corrisponde al pensiero segreto. Si potrebbe applicare questo esempio al sogno, e supporre che Gretchen non abbia cantato, ma sognato questa romanza. In questo caso la canzone, legata alla tragica storia d'amore di un antichissimo re del passato, è il «contenuto manifesto» del sogno, la sua «facciata». Chi non conosce il segreto dispiacere di Gretchen non può avere idea sul perché ha sognato questo re. Ma noi che conosciamo il pensiero del sogno — il suo tragico amore per Faust — possiamo comprendere perché il sogno fa uso di questa particolare canzone, che allude alla «rara fedeltà» del re: Faust non è fedele, e Gretchen vorrebbe che la sua fedeltà per lei rassomigliasse a quella del re della leggenda. Il suo sogno — in realtà la sua canzone — esprime in forma «mascherata» l'ardente desiderio della sua anima. Qui tocchiamo la vera natura del complesso di intensità di sentimento; è sempre questione di desiderio e di resistenza ad esso. Passiamo la nostra vita a lottare per la realizzazione dei nostri desideri: tutte le nostre azioni sono ispirate dal desiderio che qualche situazione debba o non debba realizzarsi.

Per questo lavoriamo, per questo pensiamo. Se non riusciamo a soddisfare un desiderio nella realtà, lo realizziamo almeno con la fantasia. La miglior prova di questo sono i sistemi religiosi e filosofici di ogni popolo in ogni epoca: il pensiero dell'immortalità, anche sotto forma filosofica, non è altro che un desiderio, per il quale la filosofia è solo la facciata; proprio come la canzone di Gretchen è soltanto la forma esteriore, un velo benefico steso sul suo dolore: il sogno rappresenta il suo desiderio esaudito. Freud dice che ogni sogno rappresenta la realizzazione di un desiderio represso.

Continuando il nostro esempio, vediamo che nel sogno Faust è sostituito dal re: ha dunque avuto luogo una trasformazione. La personalità di Faust, che ha una forte intensità di sentimento, è sostituita da una immagine neutra e leggendaria. Il re è una associazione di carattere analogico, un simbolo che rappresenta Faust, come 1' «amante» rappresenta Gretchen. Ci possiamo chiedere lo scopo di questo compromesso, il perché Gretchen dovrebbe rappresentarsi, diciamo così, in forma tanto indiretta questo pensiero, anziché immaginarlo chiaramente e senza equivoci. Si può rispondere facilmente a questa domanda: la tristezza di Gretchen contiene un pensiero sul quale nessuno ama soffermarsi, perché sarebbe troppo doloroso. Il suo dubbio riguardo alla fedeltà di Faust viene represso: fa così la sua apparizione sotto forma di una storia melanconica che, pur realizzando il suo desiderio, non è accompagnata da emozioni piacevoli. Freud sostiene che i desideri che formano il pensiero del sogno non sono mai desideri che si ammettono apertamente, ma desideri che vengono repressi a causa del loro carattere doloroso; esclusi dalla riflessione cosciente durante lo stato di veglia, affiorano indirettamente nei sogni.

Questo ragionamento non è affatto sorprendente se ci soffermiamo a considerare la vita dei santi. Si può comprendere senza difficoltà la natura dei sentimenti repressi di Santa Caterina da Siena, che riapparivano indirettamente nella visione del suo matrimonio celeste; allo stesso modo è possibile individuare i desideri che si manifestano più o meno simbolicamente nelle visioni e nelle tentazioni di altri santi. Come sappiamo, c'è poca differenza tra la coscienza sonnam- bulistica dell'isterico e il sogno normale, e c'è poca differenza tra la vita intellettuale degli isterici e quella della gente normale.

Naturalmente se domandiamo a qualcuno perché ha fatto un certo sogno e quali sono i pensieri segreti espressi in questo, non saprà dircelo. Dirà che ha mangiato troppo a cena, che ha dormito supino, che il giorno prima ha visto o ha sentito questo o quello — in breve, tutto ciò che possiamo leggere nei numerosi libri scientifici sui sogni. Quanto al pensiero del sogno, non lo si conosce, e questo, secondo Freud, avviene proprio in quanto il pensiero è represso perché troppo sgradevole. Così, se qualcuno ci assicura solennemente che non ha mai trovato nei propri sogni nessuna delle componenti di cui parla Freud, possiamo a malapena reprimere un sorriso; poiché ha cercato di vedere delle cose che è impossibile vedere direttamente. Con il cambiamento di Faust nel re di Thüle, Gretchen rende la situazione inoffensiva. Freud chiama questo meccanismo, che impedisce al pensiero represso di mostrarsi chiaramente, il censore. Il censore non è altro che la resistenza che ci impedisce, anche durante il giorno, di seguire una linea di pensiero logico diretta fino alla conclusione: il censore non permetterà al pensiero di passare finché non sarà tanto mascherato che il sognatore non potrà più riconoscerlo. Se cerchiamo di far conoscere al sognatore il pensiero nascosto dietro il suo sogno, ci scontriamo con la stessa resistenza che si oppone al suo complesso represso.

Possiamo ora pòrci una serie di domande importanti. Prima di tutto; cosa dobbiamo fare per passare oltre la facciata ed entrare all'interno della casa — cioè, per andare oltre il contenuto manifesto del sogno e arrivare al vero pensiero segreto nascosto dietro di esso?

Ritorniamo al nostro esempio e supponiamo che Gretchen sia una paziente isterica che viene a consultarmi per un sogno sgradevole. Supponiamo, inoltre, che io non sappia nulla di lei. In questo caso non perderei il mio tempo interrogandola direttamente, perché, di regola, questi dispiaceri intimi non si possono scoprire senza far sorgere una forte resistenza. Tenterei piuttosto di condurre un «esperimento di associazione», come l'ho chiamato che dovrebbe rivelarmi tutto della sua relazione amorosa (la sua gravidanza segreta, ecc.). Dovrebbe essere facile trarne le conclusioni, e dovrei essere quindi in grado di sottoporle il suo pensiero del sogno senza esitazione. Ma bisogna procedere con maggiore prudenza.

Per esempio, le chiederei: Chi non è fedele come il re di Thüle, o chi dovrebbe esserlo? Questa domanda illuminerebbe rapidamente la situazione. In casi semplici come questo, l'interpretazione o l'analisi del sogno è limitata a poche domande.

Ecco un esempio di questi casi. Riguarda un uomo di cui non so nulla, tranne che vive nelle colonie e che si trova attualmente in Europa in licenza. Durante una delle nostre interviste, mi raccontò un sogno che gli aveva fatto una profonda impressione. Due anni prima aveva sognato di trovarsi in un posto deserto e selvaggio; su una roccia, vedeva un uomo vestito di nero che si copriva il viso con le mani. Improvvisamente l'uomo si dirigeva verso un precipizio, quando appariva una donna, anche lei vestita di nero, che tentava di trattenerlo. L'uomo si gettava nell'abisso trascinandola con sé. Il sognatore si era svegliato con un grido di angoscia.

La domanda: «Chi era quell'uomo che si era messo in una situazione tanto pericolosa e che aveva trascinato una donna nel suo destino?» agitò profondamente il sognatore, perché quell'uomo era lui stesso. Due anni prima era andato in un viaggio di esplorazione attraverso una terra rocciosa e deserta. La sua spedizione era stata perseguitata senza tregua dai feroci abitanti di quel paese, che durante gli attacchi notturni avevano ucciso parecchi dei suoi compagni. Egli aveva intrapreso questo viaggio estremamente pericoloso, perché a quell'epoca la vita non aveva alcun valore per lui. Si era impegnato in questa avventura con l'idea di tentare il destino. E il motivo della sua disperazione? Per molti anni aveva vissuto da solo in un paese dal clima micidiale; recatosi in licenza in Europa, due anni e mezzo prima, aveva conosciuto una ragazza. Si erano innamorati e la ragazza avrebbe voluto sposarlo. Comunque, lui sapeva che sarebbe dovuto tornare al tremendo clima tropicale, e non voleva portare in quei luoghi la donna, condannandola così ad una morte quasi certa. Ruppe quindi il suo legame, dopo lunghi conflitti morali che l'avevano gettato in uno stato di profonda disperazione. In queste condizioni di spirito iniziò il suo pericoloso viaggio. L'analisi del sogno non si conclude qui, perché la realizzazione del desiderio non è ancora chiara. Ma poiché ho citato questo sogno soltanto per dimostrare la scoperta del complesso iniziale, il resto dell'analisi non ci interessa più.

In questo caso il sognatore era un uomo sincero e coraggioso; una minore franchezza, o una sensazione di disagio o di sfiducia nei miei confronti, e il complesso non sarebbe stato ammesso. Ci sono anche delle persone che avrebbero tranquillamente affermato che il sogno non aveva alcun significato e che le mie domande erano inopportune. In casi di questo genere la resistenza è troppo grande, e il complesso non può essere fatto risalire dal profondo direttamente nella coscienza; generalmente la resistenza è tale che le domande dirette, a meno che non siano poste con grande abilità, non producono alcun risultato. Creando il «metodo psicoanalitico», Freud ci ha dato un prezioso strumento per risolvere o per superare le resistenze più tenaci.

Il metodo si applica nel seguente modo. Si sceglie un settore particolarmente «strano» del sogno e poi si interroga il soggetto circa le associazioni che può attribuire ad esso. Il soggetto viene indirizzato a dire francamente qualunque cosa che gli viene in mente che riguardi questa parte del sogno, eliminando, per quanto è possibile, ogni critica. La critica non è altro che il censore al lavoro; è la resistenza contro il complesso, e tende a sopprimere proprio i fattori di maggiore importanza.

Il soggetto dovrebbe dire assolutamente tutto quello che gli viene in mente senza farsi condizionare dall'attenzione. In principio questo è particolarmente difficile, specialmente in un esame introspettivo, quando l'attenzione non può essere soppressa fino ad eliminare l'effetto inibitorio del censore: infatti è proprio verso se stessi che si hanno le resistenze più forti. Il caso che segue mostra il corso di un'analisi condotta contro una forte resistenza.

Un signore, di cui ignoravo la vita intima, mi raccontò il seguente sogno: «Mi trovavo in una piccola stanza, seduto ad un tavolo accanto a Papa Pio X, i cui tratti erano molto più belli di quanto non siano in realtà, cosa che mi sorprendeva. Vedevo dalla nostra stanza una grande sala con una tavola sontuosamente apparecchiata, e una folla di signore in abito da sera. Improvvisamente sentivo il bisogno di urinare e uscivo. Al mio ritorno, lo stesso bisogno si ripeteva; uscivo di nuovo e questo accadeva parecchie volte. Alla fine mi svegliai con il desiderio di urinare».

Il sognatore, un uomo intelligente e colto, era naturalmente portato a spiegare tutto questo come un sogno provocato da una irritazione della vescica. Infatti, i sogni di questo tipo vengono sempre spiegati in questo modo.

Egli contestò violentemente l'esistenza di una qualsiasi componente significativa dal punto di vista individuale in questo sogno. In effetti la facciata del sogno non era molto trasparente ed io non potevo vedere cosa vi si nascondeva dietro. La mia prima deduzione fu che nel sognatore doveva agire una grande resistenza, visto che egli metteva tanta energia nell 'affermare che il sogno non aveva alcun significato.

Di conseguenza non mi azzardai a porgli la domanda indiscreta: «perché vi paragonate al Papa?».

Gli chiesi soltanto quali idee associava a « Papa». L'analisi si sviluppò in questo modo:

Papa. «Il Papa vive in modo regale...» (Una co- nosciutissima canzone goliardica). Da notare che questo signore aveva trent'anni ed era celibe.

Seduto accanto al Papa. «Proprio nello stesso modo in cui sedei accanto allo Sceicco di una setta musulmana, di cui fui ospite in Arabia. Lo Sceicco è una specie di Papa ».

Il Papa è celibe, il musulmano è poligamo. L'idea nascosta dietro il sogno sembra chiara: «Sono celibe come il Papa ma vorrei avere molte mogli come il musulmano». Mantenni il silenzio su questa supposizione.

La stanza e la sala con la tavola apparecchiata. «C'erano molti saloni in casa di mio cugino, dove sono stato per un grande ricevimento che ha dato quindici giorni fa.»

Le signore in abito da sera. «A questo ricevimento c'erano anche delle signore, le figlie di mio cugino, ragazze in età da marito.»

Qui si fermò: non aveva altre associazioni. L'apparizione di questo fenomeno, conosciuto come inibizione mentale, giustifica sempre la conclusione che si è colpita un'associazione che suscita una forte resistenza. Domandai:

E queste ragazze? «Oh, niente. Ultimamente una di loro era a F.; rimase con noi qualche giorno. Quando partì, la accompagnai alla stazione insieme a mia sorella.»

Un'altra inibizione; l'aiutai ad uscirne domandando: Cosa accadde dopo? «Oh, stavo giusto pensando (questo pensiero evidentemente era stato represso dal censore) di aver detto qualcosa a mia sorella, qualcosa che ci fece ridere, ma ho completamente dimenticato cosa fosse».

Malgrado i suoi sinceri sforzi per ricordare, al principio gli fu impossibile richiamare alla mente di cosa si trattasse. Qui abbiamo un esempio molto comune di dimenticanza dovuta a inibizione. All'improvviso ricordò:

«Sulla strada per la stazione incontrammo un signore che ci salutò e che mi sembrò di riconoscere. Più tardi domandai a mia sorella se era quello l'innamorato (della figlia del cugino)».

(Attualmente questa signorina è fidanzata con quel signore, e devo aggiungere che la famiglia del cugino era molto facoltosa e che il sognatore si era a sua volta innamorato della ragazza, quando ormai era troppo tardi.)

Il ricevimento a casa del cugino. «Fra qualche giorno dovrò andare al matrimonio di due miei amici.»

I lineamenti del Papa. «Il naso era straordinariamente ben fatto e leggermente a punta.»

Chi ha un naso simile? (Ridendo) «Una ragazza per la quale provo molto interesse proprio ora».

C'era qualche altra cosa di notevole nel viso del Papa? «Si, la bocca. Era una bocca molto ben disegnata. (Ridendo) Un'altra ragazza che mi attrae ha una bocca simile.»

Questo materiale è sufficiente per spiegare una gran parte del sogno. Il «Papa» è un buon esempio di ciò che Freud chiamerebbe una condensazione. In primo luogo simbolizza il sognatore (il celibato), in secondo luogo è una trasformazione dello sceicco poligamo. Inoltre è la persona seduta accanto al sognatore durante il pranzo, cioè una, o piuttosto due signore — in realtà, le due signore che interessavano il sognatore.

Ma come si spiega il fatto che questo materiale venga associato al bisogno di urinare? Per trovare la risposta a questa domanda, immaginai la situazione nel modo seguente:

Stavate prendendo parte ad una cerimonia nuziale e in presenza di una signorina sentiste il bisogno di urinare? «Si, mi è capitato una volta. Fu molto , sgradevole. Ero stato invitato al matrimonio di un parente, avevo circa undici anni. In chiesa ero seduto vicino ad una bambina della mia età. La cerimonia andava per le lunghe ed io cominciai a desiderare di urinare. Ma mi trattenni fin quando non fu troppo tardi: e così mi bagnai i calzoni.»

L'associazione del matrimonio con il desiderio di urinare risale a quell'evento. Non continuerò questa analisi, che non finisce qui, per timore che questo scritto diventi troppo lungo. Ma ciò che ho detto è sufficiente a mostrare la tecnica, il procedimento dell'analisi. Ovviamente è impossibile offrire al lettore un esame completo di questi nuovi punti di vista. Il metodo psicoanalitico ci illumina moltissimo, non solo per la comprensione dei sogni ma anche per quella dell'isteria e delle più importanti malattie mentali.

[…]

Morton Prince: “Il meccanismo e l’interpretazione dei sogni”
Una revisione critica
(1911)

Spero che tutti i colleghi e i compagni di lavoro che, seguendo le orme di Freud, hanno sviluppato il problema del sogno, e che sono stati in grado di con fermare i principi fondamentali della sua interpretazione, mi perdoneranno se tralascio in questo scritto il loro valido apporto e parlo invece di un altro ricercatore che, sebbene abbia portato dei risultati meno positivi, proprio per questa ragione sembra essere il più idoneo per una discussione pubblica. Un fatto particolarmente degno di nota è che Morton Prince, grazie al suo precedente lavoro e alla sua profonda competenza dei problemi psicopatologici, è particolarmente preparato a comprendere la psicologia freudiana. Non so se Morton Prince abbia una sufficiente padronanza del tedesco per leggere Freud in lingua originale, sebbene questa sia quasi una sine qua non per comprenderlo. Ma se dobbiamo contare solamente sugli scritti in inglese, la presentazione molto chiara di Ernest Jones dell'analisi del sogno in La teoria freudiana dei sogni gli avrebbe dato tutta la conoscenza necessaria. A parte questo, ci sono già molti articoli e molte relazioni di Brill e di Jones e recentemente anche di Putnam2, Meyer, Hoch, Scripture e altri, che fanno luce sui vari aspetti della psicoanalisi (o «psicologia del profondo», come la chiama Bleuler). E inoltre, per qualche tempo, sono state disponibili non soltanto le conferenze tenute da Freud e da me alla Clark University, ma anche parecchie traduzioni delle nostre opere; in tal modo anche coloro che non conoscono il tedesco hanno avuto l'opportunità di familiarizzarsi con l'argomento.

Probabilmente Morton Prince ha acquisito la conoscenza necessaria per l'analisi attraverso le letture e non attraverso contatti personali verso i quali il Professor Hoch prova quasi un superstizioso timore che ci lusinga molto. Come il lettore di lingua tedesca sa, Morton Prince è l'autore di un prezioso volume, La dissociazione di una personalità, che prende un degno posto accanto agli studi sull'argomento di Binet, Janet, e di Flournoy . Naturalmente, Prince è anche l'editore del "Journal of Abnormal Psychology", dove quasi in ogni edizione vengono discussi senza pregiudizi tutti i problemi della psicoanalisi.

Da questa introduzione il lettore può vedere che non esagero quando dico che Morton Prince è un ricercatore privo di pregiudizi, con una solida reputazione scientifica ed un'indiscussa competenza in materia di problemi psicopatologici. Mentre Putnam si interessa principalmente all'aspetto terapeutico della psicoanalisi e l'ha discusso con ammirabile franchezza,

Morton Prince preferisce un soggetto particolarmente controverso, e cioè l'analisi dei sogni. E qui, ogni seguace di Freud ha perso il suo onorevole nome di uomo di scienza davanti agli occhi degli scienziati tedeschi. Il contributo fondamentale di Freud, L'interpretazione dei sogni, è stato trattato con irresponsabile leggerezza dai critici tedeschi. Come al solito, tutti sono stati pronti ad usare espressioni facili e garbate come «brillante errore», «aberrazione geniale», ecc. Ma era chiedere troppo che qualcuno dei nostri psicologi, neurologi e psichiatri approfondisse realmente l'argomento o sottoponesse a lunghe prove la propria intelligenza applicandola allo studio dell'interpretazione del sogno data da Freud. Credo quasi che non abbiano osato farlo perché il soggetto in realtà è molto difficile — meno difficile, penso, per ragioni intellettuali che a causa di resistenze personali, soggettive: perché è proprio qui che la psicoanalisi chiede quel sacrificio che nessun'altra scienza domanda ai suoi adepti, e cioè una spietata conoscenza di se stessi. Bisogna ripetere ancora una volta che la comprensione pratica e teorica della psicoanalisi è funzione di una conoscenza analitica di se stessi. Dove manca la conoscenza di sé, la psicoanalisi non può prosperare. Questo paradosso sarà tale soltanto fino a quando la gente penserà che «si conosce». E chi non lo pensa? Con i toni vibranti della più profonda convinzione, ognuno ci assicurerà che «si conosce »: eppure questo non è vero, non è che una puerile illusione indispensabile alla stima di se stessi. Non ci può essere alcun dubbio che un medico che nasconda la propria mancanza di conoscenza e di abilità con un'eccessiva fiducia in se stesso, non sarà mai in grado di condurre un'analisi, — perché altrimenti dovrebbe ammettere la verità di fronte a se stesso, e ciò gli sarebbe insopportabile.

Dobbiamo considerare allora come un non plus ultra il fatto che uno scienziato di chiara fama come Morton Prince affronti coraggiosamente il problema e cerchi di approfondirlo seguendo le sue idee. Siamo sempre pronti ad accettare le obiezioni che nascono da un onesto lavoro di questo genere, perché non vogliamo rispondere soltanto a quelli che temono il vero lavoro e che si accontentano di tare discorsi accademici a buon mercato. Ma prima di occuparci delle obiezioni di Prince, dovremmo gettare uno sguardo nel suo campo di ricerca e nei suoi — secondo noi — risultati positivi. Prince ha esaminato sei sogni di una sua paziente che era in grado di avere differenti stati di coscienza, e che fu esaminata in parecchi di questi stati; per l'analisi Prince si è servito sia dell'interrogazione sotto ipnosi, sia della «libera associazione». Sappiamo che aveva già analizzato molte dozzine di sogni Prince scoprì che il metodo della libera associazione «ci mette in grado, con l'esame di un gran numero di sogni della stessa persona, di indagare nell'intero campo dell'inconscio, e, mediante il rapporto di tutti i sogni, di scoprire certe idee persistenti che colpiscono e influenzano la vita psichica dell'individuo». Usando l'«insano» metodo psicoanalitico, dunque, questo scienziato americano è stato in grado di scoprire, nel regno dell'inconscio, qualcosa che influenza in modo percettibile la vita psichica. Per lui il «metodo» dopo tutto è un metodo, ed è convinto che ci sia un inconscio, pur senza essere stato in qualche modo ipnotizzato personalmente da Freud.

Prince ammette inoltre che dobbiamo considerare come «materiale del sogno», «certe idee subconsci delle quali il paziente non si rende conto» (p. 150), riconoscendo così che l'origine dei sogni può trovarsi nell'inconscio. Il brano che segue è una importante e notevole conferma di tutto questo:

Un brillante colpo di genio ha portato Freud alla scoperta che i sogni non sono fantasie prive di significato, come si è creduto sinora, ma che interpretandoli con il metodo psicoanalitico si riscontra un loro significato logico e comprensibile il significato, comunque, è generalmente nascosto da un gran numero di rappresentazioni simboliche sulle quali si può far luce soltanto sulla base di un esame delle precedenti esperienze mentali del sognatore. Tale ricerca richiede, come ho già fatto notare, la resurrezione di tutti i ricordi associati che si riferiscono agli elementi de! sogno. Quando viene effettuata questa ricerca, la conclusione ci balza agli occhi. Credo che il sogno più fantastico possa esprimere qualche idea intelligente, sebbene questa possa essere nascosta dal simbolismo. Le mie osservazioni confermano quelle di Freud, in quanto mo strano che in ogni sogno c'è un motivo intelligente; cosicché il sogno può essere interpretato come l'espressione di una o più idee che il sognatore ha accarezzato in precedenza. Tutti i sogni che ho sottoposto all'analisi giustificano questa interpretazione.

Prince ammette così la possibilità che i sogni abbiano un significato, che il significato sia nascosto dai simboli e che per trovarlo occorra il materiale-ricordo. Tutto questo conferma la parte essenziale dell'interpretazione dei sogni di Freud, molto di più di quanto non abbiano mai ammesso i critici a priori. Come risultato di alcune esperienze, Prince è anche arrivato a considerare i sintomi isterici «come possibili simbolismi di nascosti processi del pensiero». Malgrado l'opinione espressa nel Die Hysterie di Binswanger, che poteva aver preparato il terreno, questo non è ancora entrato in testa agli psichiatri tedeschi.

Come ho detto, ho cominciato con le esposizioni affermative di Prince. Arriviamo ora alle deviazioni e alle obiezioni (p. 151):

Sono in grado di confermare (l'opinione di Freud) che ogni sogno possa essere interpretato come una «realizzazione immaginaria di un desiderio», che è il motivo del sogno stesso. Che qualche volta il sogno possa essere riconosciuto come la realizzazione di un desiderio è fuori discussione, ma non sono riuscito a verificare, anche dopo aver sottoposto un paziente alla più completa analisi, che ogni sogno o la maggioranza dei sogni siano tali. Al contrario, ho scoperto, se la mia interpretazione è giusta, che alcuni sogni sono piuttosto la non-realizzazione di un desiderio; alcuni sembrano essere l'espressione della realizzazione di un timore o di un'ansietà.

In questo brano abbiamo tutto quello che Prince non può accettare. Si dovrebbe aggiungere che il desiderio stesso gli sembra spesso non così «represso» e non così inconscio o importante, come Freud ci ha insegnato ad aspettarci. Di conseguenza la teoria di Freud secondo cui un desiderio represso è la vera origine del sogno che si realizza nel sogno, non viene accettata da Prince, perché nel suo materiale non è riuscito a verificarla. Ma almeno egli tenta questa verifica, e la teoria gli sembra degna di un attento controllo; questo, come sappiamo, non è precisamente il caso di molti nostri critici (penso che questo atteggiamento sia una legge non scritta del decoro accademico.) Fortunatamente Prince ci ha anche presentato il materiale dal quale ha tratto le sue conclusioni. Possiamo così misurare la nostra esperienza contro la sua e, nello stesso tempo, scoprire le ragioni di un qualsiasi malinteso. Ha avuto un grande coraggio nell'esporsi in questo modo, perché abbiamo adesso l'opportunità di misurare apertamente le nostre divergenze con il suo materiale, procedimento questo che sarà istruttivo sotto tutti i punti di vista.

Per dimostrare come mai Prince sia stato in grado di vedere soltanto l'elemento formale e non quello dinamico dei sogni, dobbiamo esaminare dettagliatamente il suo materiale. Dalle varie indicazioni apprendiamo che il sognatore era una signora di mezza età, con un figlio adulto, studente, e che, evidentemente, non era felicemente sposata (forse divorziata o separata). Per alcuni anni aveva sofferto di dissociazioni isteriche della personalità, e, deduciamo, aveva delle fantasie regressive verso due prime relazioni amorose; di queste l'autore, forse temendo la morbosa curiosità del pubblico, ha ritenuto opportuno accennare con una delicatezza che io giudico eccessiva. Prince riuscì a curare queste dissociazioni della sua paziente per circa diciotto mesi, ma a un certo punto le cose sembravano peggiorare di nuovo, perché la donna rimaneva in uno stato di dipendenza ansiosa dal suo analista; questo si rivelava per lui tanto stancante che la mandò due volte da un suo collega.

Qui abbiamo il noto quadro di un trasporto non analizzato e non ammesso, che consiste, come sappiamo, nel fatto che la paziente fissa le proprie fantasie erotiche sull'analista. I sei sogni sono un momento istruttivo della lotta condotta dall'analista contro il soffocante trasporto della paziente.

Sogno 1: C. (l'«io del sogno» della paziente) si trovava in un posto e vide una vecchia che le sembrò un'Ebrea. La vecchia teneva in mano una bottiglia e un bicchiere e sembrava che bevesse del whisky, poi questa donna diventò sua madre, che aveva una bottiglia e un bicchiere e anche lei sembrava che bevesse del whisky; poi si aprì la porta e apparve suo padre.

Indossava la vestaglia di suo marito e teneva in mano due bastoncini di legno, (pp. 147 e seguenti).

Prince scoprì, sulle basi di un materiale copioso e nell'insieme convincente, che la paziente considerava la tentazione del bere, e anche le tentazioni della «povera gente » in generale, come qualcosa di molto comprensibile. Anche lei qualche volta prendeva un po' di whisky la sera, e così sua madre. Ma ci potrebbe essere qualcosa di sbagliato in questo. «La scena del sogno è quindi la rappresentazione simbolica e la giustificazione delle sue stesse idee, e la risposta ai dubbi e agli scrupoli che le assalivano la mente» (p. 154). La seconda parte del sogno che riguarda i bastoncini è certamente, secondo Prince, una specie di realizzazione di desiderio, ma, sempre secondo Prince, non ci dice niente, poiché la paziente aveva ordinato la sera prima della legna da ardere. Nonostante la fatica spesa per l'interpretazione (otto pagine stampate), il sogno non è stato analizzato interamente, perché i due soggetti più importanti — il whisky bevuto e i bastoncini — non sono stati esaminati. Se l'autore avesse seguito queste «tentazioni», avrebbe scoperto che gli scrupoli della paziente sono in fondo di natura molto più seria di una cucchiaiata di whisky e di due fascine di legna. Perché è suo padre che arriva, condensato nella figura di suo marito? Come può essere inquadrata l'Ebrea oltre che da un ricordo del giorno pre-cedente? Perché sono importanti i due bastoncini, e perché sono nelle mani del padre? E così via. Il sogno in effetti non è stato analizzato. Sfortunatamente il suo significato è soltanto troppo chiaro per lo psicoa- nalista. Dice molto semplicemente: «Se fossi quella povera Ebrea che ho visto ieri, non resisterei alla tentazione (proprio come mamma e papà — paragone tipicamente infantile!), e poi un uomo vorrebbe entrare nella mia camera con della legna da ardere, naturalmente per riscaldarmi». Questo, in breve, sarebbe il significato. Il sogno contiene certamente tutto questo: soltanto, che, nell'analisi, l'autore si è fermato troppo presto. Spero mi perdonerà se con poca discrezione sfondo una porta garbatamente chiusa, in modo che si possa chiaramente vedere che genere di desideri vengono realizzati: sono realizzazioni che «non si possono vedere» perché giacciono dietro una forma di discrezione convenzionale e di cecità medica nei riguardi del sesso.

Sogno 2: Una collina — la donna vi si stava arrampicando faticosamente, si poteva salire appena; ebbe la sensazione che qualcuno o qualcosa la seguisse. «Non devo far vedere che sono spaventata o questa cosa mi afferrerà.» Poi arrivò in un punto dove c'era un po' più di luce, e potè vedere due nuvole o due ombre, una nera e una rossa, e disse: «Mio Dio, sono A e B!». «Se qualcuno non mi aiuta sono perduta!» ( Intende dire che vorrebbe cambiare ancora — cioè ricadere nelle personalità dissociate). Cominciò a chiamare «Dottor Prince! Dottor Prince!» e voi eravate lì che ridevate, e diceste: «Bene, dovrete combattere quella dannata cosa da sola.» Poi si svegliò paralizzata dal terrore, (p. 156).

Poiché il sogno è molto semplice, possiamo evitare un'ulteriore conoscenza del materiale analitico. Ma Prince non riesce a vedere la realizzazione del desiderio in questo sogno; al contrario, Prince vede in esso «la realizzazione di una paura ». Egli commette un errore fondamentale, confondendo, ancora una volta, il contenuto manifesto del sogno con il «pensiero del sogno» inconscio. Per essere onesti con l'autore, si deve far notare che, in questo caso, la ripetizione dell'errore è più scusabile, poiché la frase cruciale («Bene, dovrete combattere quella dannata cosa da sola») è realmente molto ambigua e ingannevole. Ugualmente ambigua è la frase «Non devo far vedere che sono spaventata,» ecc. che, come mostra Prince nel suo materiale, si riferisce al pensiero di una ricaduta nella malattia; poiché la paziente era spaventata all'idea di una ricaduta.

Ma che cosa significa «spaventata»? Sappiamo che per la paziente è molto più conveniente essere ammalata, perché la guarigione porta con sé un grande svantaggio: perderebbe infatti il suo analista, mentre la malattia glielo preserva (come avveniva in realtà), per le sue necessità. Con la sua malattia interessante, la paziente offriva molto al suo medico, e in cambio riceveva da lui molto interesse e molta comprensione. Naturalmente non voleva rinunciare a questa stimolante relazione, e per questa ragione temeva la guarigione e segretamente sperava che accadesse qualcosa di magico e di meraviglioso che riaccendesse l'interesse del-l'analista. Ovviamente avrebbe fatto qualunque cosa piuttosto che ammettere che in realtà aveva tali desideri. Ma dobbiamo abituarci all'idea che in psicologia ci sono delle cose che il paziente conosce e non conosce contemporaneamente; cose che evidentemente sono inconsce, che molto spesso possono sembrare coscienti in un'altra connessione; o ancora, che siano state realmente conosciute — soltanto, non erano conosciute con il loro vero significato. Così, il vero significato del desiderio, che la paziente non ammetterebbe, non era direttamente accessibile alla sua coscienza, ed è per questo che definiamo questo vero significato inconscio o «represso». Posto in forma brutale, il pensiero «avrò dei sintomi che risveglieranno l'interesse dell'analista», non poteva essere accettato, per quanto fosse autentico, perché troppo offensivo; ma poteva mostrare delle mezze associazioni e dei desideri parzialmente soffocati riscontrabili nel background, come le reminiscenze del tempo in cui l'analisi era tanto interessante, e così via.

La frase «non devo far vedere che sono spaventata», quindi in realtà significa «non devo far vedere che vorrei veramente avere una ricaduta, perché stare bene è troppo noioso». «Se qualcuno non mi aiuta sono perduta» significa «spero di non essere curata troppo rapidamente, altrimenti non potrò avere una ricaduta». Poi, alla fine, arriva la realizzazione del desiderio: «bene, dovrete combattere quella dannata cosa da sola». La paziente sta bene soltanto grazie all'amore dell'analista. Se questi la lascia nelle peste, avrà una ricaduta, e questa avverrà per colpa sua perché non l'ha aiutata. Ma se ha una ricaduta, avrà anche un rinnovato diritto alla sua attenzione, e questo è il punto cruciale dell'intera manovra. Nell'insieme è tipico dei sogni che la realizzazione del desiderio si trovi sempre dove sembra più impossibile alla mente cosciente. Il timore di una ricaduta è un simbolo che bisogna analizzare, ma questo l'autore l'ha dimenticato, perché considera il timore, come il whisky e i ba-stoncini, solo per il loro valore estrinseco, mentre dovrebbe esaminarlo senza pregiudizi per recuperare la sua autenticità. L'eccellente opera del suo collega Ernest Jones, Sugli incubi, l'avrebbe informato del carattere bramoso di questi timori. Ma, come so per esperienza personale, è difficile per un principiante ricordare sempre tutte le regole psicoanalitiche.

Sogno 3: La donna si trovava nel sentiero roccioso di Watt8, scalza, le pietre ferivano i suoi piedi, aveva pochi vestiti e aveva freddo, poteva a malapena arrampicarsi; vi vide lì, e vi chiamò in aiuto, e voi diceste: «Non posso aiutarvi, dovete aiutarvi da sola». Lei disse: «Non posso! Non posso!». «Bene, dovete riuscirci! Vediamo se riesco a ficcarvelo bene in testa». E voi prendeste una pietra e le colpiste la testa, e a ogni colpo dicevate: «Non voglio essere seccato. Non voglio essere seccato». E ogni colpo era un peso nel suo cuore tanto che lei lo sentiva sempre più pesante. Lei si svegliò e io vi vidi che stavate ancora battendo con una pietra! sembravate molto arrabbiato, (pp. 159 e seguenti).

Poiché Prince ancora una volta considera il sogno alla lettera, riesce a vedere in esso semplicemente la «non-realizzazione di un desiderio». Ancora una volta deve essere sottolineato che Freud ha espressamente affermato che i veri pensieri del sogno non sono uguali al contenuto manifesto del sogno stesso. Se Prince non ha scoperto il vero pensiero del sogno, ciò accade semplicemente perché si attiene alle parole del sogno. Ora, è sempre rischioso intervenire senza conoscere il materiale stesso; si possono fare dei grossissimi errori: ma forse il materiale messo in rilievo dall'autore sarà sufficiente a darci una vaga idea del contenuto latente del sogno. (Chiunque abbia un'esperienza in questo campo, avrà naturalmente indovinato già da molto tempo il vero significato del sogno, che è in realtà molto chiaro).

Il sogno è costruito sulla seguente esperienza. Il mattino prima, la paziente aveva chiesto all'autore di andarla a visitare e aveva ricevuto la risposta per telefono: «Non posso venire a vedervi oggi, sono impegnato tutto il giorno fino a sera. Vi manderò il Dottor W., non dovete contare su di me». (p. 160). Un inequivocabile accenno, quindi, al fatto che il tempo dell'analista apparteneva anche ad altri. La pazienti aveva risposto: «Va bene, però ieri sera avete sprecato il vostro tempo con me». Quindi aveva dovuto inghiottire un boccone amaro. L'analista le aveva fatto qualcosa di doloroso, che lei come donna ragionevole comprendeva abbastanza bene — ma che non riusciva a comprendere con il cuore. Prima di andare a dormire aveva pensato: «Non devo seccarlo, dovrei riuscire a ficcarmelo in testa». (p. 161) — (Nel sogno le viene realmente « ficcato in testa»). «Se il mio cuore non tosse come una pietra, piangerei». (Era stata colpita con una pietra.)

Come nel sogno precedente, viene affermato che l'analista non l'aiuterà mai più e le « martella» in testa questa decisione con una pietra, tanto che ad ogni colpo il cuore le diventa più pesante. Quindi la situazione di quella sera viene raccolta fin troppo chiaramente nel contenuto manifesto del sogno. In tali casi, dobbiamo coprire dove è stato aggiunto, alla situazione del giorno precedente, un nuovo elemento; a questo punto dobbiamo penetrare nel vero significato del sogno. La cosa dolorosa è che l'analista non curerà mai più la paziente, che nel sogno invece viene curata, anche se in un nuovo modo. Quando l'analista le «martella» in testa che non può lasciarsi tormentare dalle sue chiacchiere, lo fa così vigorosamente che la sua psi coterapia diventa una forma estremamente intensa di irattamento fisico o di tortura. Questo realizza un desiderio che è troppo sconveniente per essere riconosciuto alla pudica luce del giorno, sebbene sia un pensiero molto semplice e naturale. La fantasia popolare e tutte le malelingue che hanno sviscerato i segreti del confessionale e dell'ambulatorio, lo sanno molto bene Lo sospettò anche Mefistofele nel suo famoso discorso sulla Medicina ; è uno di quei pensieri indi ^truttibili che nessuno conosce e che tutti hanno.

Quando la paziente si svegliò, vide che l'analista continuava quel movimento; stava battendo con una pietra11. Nominare un'azione una seconda volta significa darle un rilievo particolare 12. E, come nel sogno precedente, la realizzazione del desiderio sta appunto nella più profonda delusione.

Senza dubbio, verrà obiettato che sto leggendo nel sogno le mie stesse fantasie corrotte, come di abitudine per la scuola freudiana. Forse il mio stimato collega, l'autore, si indignerà poiché attribuisco tali pensieri impuri alla sua paziente, o, quanto meno, troverà che non sono affatto giustificato nel trarre queste particolari conclusioni da questi scarsi accenni. Mi rendo ben conto che queste conclusioni, guardate dal punto di vista della scienza di ieri, sembrino quasi frivole, ma centinaia di esperienze parallele mi hanno dimostrato che i dati di cui sopra, sono in realtà del tutto sufficienti a garantirle e con una certezza che soddisfa le più rigorose esigenze. Coloro che non hanno questa esperienza di psicoanalisi, non possono avere idea di quanto sia probabile la presenza di un desiderio erotico e di quanto sia estremamente improbabile la sua assenza. Quest'ultima illusione, naturalmente, è dovuta, da una parte, alla cecità moralistica sul sesso ma dall'altra al disastroso errore che si commette nel credere che la coscienza sia tutta la psiche. Questo, natu-ralmente, .non si applica al nostro stimato autore. Quindi chiedo al lettore: per favore, nessuna indignazione moralistica, ma una calma verifica. La scienza consiste in questo, e non in aride grida di indignazione, in derisioni, insulti e minacce; queste sono le armi che gli scienziati di lingua tedesca usano nel discutere con noi.

In realtà, sarebbe di competenza dell'autore presentare tutto quel materiale che stabilirebbe infine il significato erotico del sogno. Se non l'ha fatto per questo sogno, tutto il necessario viene detto indirettamente in quelli seguenti, cosicché la conclusione da me già suggerita si rivelerà l'anello terminale di una catena coerente.

Sogno 4: (precedente di poco l'ultimo sogno) la paziente sognò che si trovava in una grande sala da ballo, dove tutto era meraviglioso. La stava girando quando comparve vicino a lei un uomo che le domandò: «Dov'è il vostro cavaliere?» Lei rispose: «Sono sola». Allora lui le disse: «Non potete rimanere qui, non vogliamo donne sole». Nella scena successiva si trovava in un teatro e stava andando a sedersi, quando qualcuno arrivò e le disse la stessa cosa: «Non potete rimanere qui, non vogliamo donne sole». Poi lei andò in posti sempre differenti, ma dovunque andasse doveva allontanarsi perché era sola-, non le permettevano di rimanere. Poi si trovava in una strada; c'era una gran folla, e vide suo marito poco più avanti e lottò per raggiungerlo attraverso la calca. Quando gli fu vicino vide... (ciò che possiamo interpretare come una simbolica rappresentazione della felicità, dice Prince.) Poi la nausea la sommerse e pensò che per lei non c'era posto in nessun luogo, (p. 162).

La lacuna nel sogno è un lodevole atto di discrezione che certamente farà piacere al lettore pudibondo, ma non alla scienza. La scienza non ammette tali considerazioni pudiche. Qui si tratta semplicemente di vedere se la diffamata teoria di Freud sui sogni sia giusta oppure no, e non se il contesto del sogno suona bene a delle orecchie immature. Un ginecologo soppri-merebbe in un testo di ostetricia l'illustrazione degli organi genitali femminili per ragioni di pudore? A pagina 164 di questa analisi leggiamo: «L'analisi di questa scena ci porterebbe troppo lontano nella sua vita intima e questa non giustificherebbe l'impresa.» L'autore crede realmente di avere un qualsiasi diritto di parlare della teoria psicoanalitica del sogno, quando rifiuta .al lettore il materiale essenziale per ragioni di discrezione? Per lo stesso fatto di raccontare al mondo il sogno della sua paziente, ha violato questa discrezione nel modo più completo possibile, perché ogni analista ne vedrà immediatamente il significato: ciò che la sognatrice nasconde nel modo più profondo grida forte dall'inconscio. Per chiunque sappia leggere i simboli dei sogni, tutte le precauzioni sono inutili, la verità uscirà fuori. Dovremmo quindi chiedere all'autore: se non vuole denudare la sua paziente, la prossima volta scelga un caso sul quale possa dire tutto.

Malgrado la discrezione medica di Prince, anche questo sogno, che egli nega sia la realizzazione di un desiderio, risulta perfettamente comprensibile. La fine del sogno tradisce, nonostante la maschera, la violenta resistenza della paziente alle relazioni sessuali con il marito. Il resto è tutto una realizzazione di desiderio: diventa una «donna sola» che in qualche modo viene esclusa dalla società. La sensazione di solitudine («sente che non può più rimanere sola, che deve avere una compagnia») viene convenientemente risolta da questa situazione ambigua: ci sono «donne sole» che non sono sole come lei, anche se certamente non sono tollerate ovunque. Questa realizzazione di desiderio, naturalmente, incontra la massima resistenza finché non viene reso chiaro che in caso di necessità il diavolo, come dice il proverbio, mangia anche le mosche; e questo è verissimo per quanto riguarda la libido. Questa soluzione, così ripugnante alla mente cosciente, sembra completamente accettabile all'inconscio. Si deve cono-scere in che cosa consiste la psicologia di una nevrosi in una paziente di quell'età; la psicoanalisi ci chiede di prendere la gente quale realmente è, non come fìnge di essere. Poiché la grande maggioranza delle persone vuole essere ciò che non è, e quindi si crede uguale all'ideale, conscio o inconscio, che fluttua davanti a sé, l'individuo viene accecato sin dall'inizio da un gran numero di proposte, a prescindere dal fatto che egli stesso si sente diverso da ciò che realmente è. Questa regola ha la peculiarità di essere applicabile in tutti i casi, eccettuato quello della persona alla quale viene applicata.

In una mia precedente opera, ho già esposto l'importanza storica e generale di questo fatto, così posso risparmiarmi la pena di discuterlo in questa sede. Vorrei soltanto far notare che, per esercitare la psicoanalisi, si devono assoggettare i propri concetti etici ad una revisione totale. Questa è un'esigenza che spiega perché la psicoanalisi diviene comprensibile ad una persona veramente seria soltanto gradualmente e con grande difficoltà. Non solo occorre uno sforzo intellettuale, e di grande misura, ma anche uno sforzo morale per comprendere l'importanza del metodo, perché esso non equivale a un metodo curativo come il massaggio vibro-elettrico o l'ipnosi, ma costituisce qualcosa di portata più vasta che, modestamente, si auto-definisce «psicoanalisi».

Sogno 5: Sognò che si trovava in un luogo buio, cupo e roccioso, e che camminava con difficoltà, come sempre succede nei suoi sogni, su un sentiero roccioso; all'improvviso, il luogo si riempì di gatti. Si voltò terrorizzata per tornare indietro; ma sul sentiero, proprio, dietro a lei, c'era un essere spaventoso, simile all’abominevole uomo delle nevi. I capelli gli pendevano sul viso e sul collo, aveva una specie di pelliccia che lo ricopriva; le gambe e le braccia erano nude e in mano aveva una clava: una creatura selvatica. Dietro di lui c'erano centinaia di uomini uguali a lui — anzi, tutto intorno era pieno di questi uomini, per cui la donna davanti aveva i gatti e dietro quegli uomini selvatici. L'uomo le disse che se avesse proseguito in mezzo ai gatti, ed avesse emesso un suono, tutti i gatti le sarebbero saltati addosso e l'avrebbero soffocata, ma che se fosse andata avanti senza emettere alcun suono, non avrebbe avuto più nessun rimpianto per il passato... (e parla di alcuni temi specifici che includono particolari sistemi di idee, conosciuti come i complessi Z e Y, due complessi che l'avevano già afflitta, aggiunge l'autore). Comprese che doveva scegliere tra la morte per mano degli uomini selvatici e il «viaggio» attraverso i gatti, così cominciò ad andare avanti. Nel suo sogno naturalmente doveva passare sopra i gatti (il soggetto qui rabbrividisce per il disgusto), e provava orrore al pensiero che avrebbero potuto saltare su di lei se avesse gridato; lo sforzo compiuto per tacere le provocò nel sonno una forte contrazione dei muscoli della gola (erano veramente contratti, li potei toccare, dice Prince). Avanzò a fatica in mezzo ai gatti senza emettere alcun suono; poi vide sua madre e cercò di parlarle. Tese le mani e tentò di dire: «Oh, mamma!», ma non potè parlare; si svegliò poi con una sensazione -di nausea, spaventata, stanchissima e madida di sudore. Più tardi, quando provò a parlare, riuscì solo a bisbigliare, (pp. 164 e seg. Una nota a pie di pagina aggiunge: «Si svegliò completamente afona, e questa afonia continuò fin quando non ne fu liberata da una appropriata terapia»).

Prince considera questo sogno come una parziale realizzazione di desiderio, perché la sognatrice era riuscita a camminare sopra i gatti. Ma pensa: «Il sogno sembra essere piuttosto una rappresentazione simbolica della sua idea della vita in generale e dei precetti morali ai quali si è sforzata di ispirarsi e secondo i quali ha tentato di vivere per avere la felicità», (p. 168).

Questo non è il significato del sogno, come chiunque che conosca qualcosa dei sogni può vedere. Il sogno non è stato analizzato affatto: siamo stati semplicemente informati della fobia della paziente per i gatti. Cosa significa questo non è stato analizzato; non è stato analizzato il -suo camminare sui gatti; non è stato analizzato l'uomo selvatico che indossa quella specie di pelliccia; non sono state analizzate né la pelliccia né la clava;- non è stato analizzato il significato dell'afonia, e le reminiscenze erotiche Z e Y non vengono descritte. All'inizio viene analizzato soltanto in parte il sentiero roccioso: Proviene da un dipinto di Watt, intitolato «L'Amore e la Vita». Una figura femminile (la Vita) si trascina stancamente lungo un sentiero roccioso, accompagnata da quella dell'Amore. L'immagine iniziale nel sogno, corrisponde esattamente a questo quadro, «meno la figura dell'Amore», come nota Prince. Invece ci sono i gatti, come mostra il sogno e come notiamo noi. Questo significa che i gatti simboleggiano l'amore. Prince questo non l'ha visto; se avesse studiato le opere esistenti su questo argomento, avrebbe scoperto che in una delle mie pubblicazioni ho già trattato in dettaglio il problema della fobia dei gatti. In quell'opera avrebbe appreso questa conclusione e avrebbe compreso sia il sogno sia la fobia dei gatti.

Per il resto, il sogno è un tipico sogno ansioso che, di conseguenza, deve essere considerato dal punto di vista della teoria sessuale, a meno che Prince non riesca a dimostrarci che la teoria sessuale dell'ansietà è sbagliata. A causa della completa mancanza di una analisi, mi trattengo da ogni ulteriore discussione del sogno, che in effetti è molto chiaro. Vorrei soltanto sottolineare che la paziente era riuscita a produrre un sintomo (l'afonia) con il quale aveva attirato l'attenzione dell'analista, proprio come aveva contato di fare. È evidente che non si può criticare la teoria dei sogni, sulle basi di analisi che non sono state effettuate; questo è semplicemente il metodo dei nostri critici tedeschi.

Sogno 6: Questo sogno si ripetè per due notti di seguito. Sognò che si trovava nello stesso sentiero scuro e roccioso — dove si trova sempre — il sentiero di Watt — ma con degli alberi ai lati, (era un pendio o un canyon). Il vento soffiava molto forte e lei poteva appena avanzare perché qualcosa glielo impediva, (come sempre nei suoi sogni). Qualcuno, o una figura, balzò accanto a lei con le mani sopra gli occhi. Questa figura disse: «Non guardare, diventerai cieca». Lei si trovava all'entrata di una grande caverna; improvvisamente lampeggiò una luce, come il flash di una macchina fotografica, e lì sul terreno, giacevate voi, ed eravate tutto legato con delle strane corde, e avevate i vestiti sporchi e strappati, il vostro viso era coperto di sangue e sembravate spaventosamente angosciato; tutt'intorno a voi c'erano centinaia di piccoli gnomi o pigmei o folletti che vi torturavano. Alcuni di loro avevano delle asce e vi tagliavano le braccia e le gambe, e alcuni vi segavano. Centinaia di loro avevano delle piccole cose in mano, come dei bastoncini di incenso, ma più corti, con la punta incandescente, e ve li conficcavano nella carne. Sembrava la scena di Gulliver, e quei piccoli esseri vi camminavano sopra. Vedeste C. e diceste: «Oh Signora C, per amor del cielo, toglietemi da questo dannato buco ». (Voi imprecate sempre nei sogni di C.) Lei era inorridita e disse: «Oh, Dottor Prince, vengo», ma non potè muoversi, era come se fosse inchiodata al suolo; e allora tutto sparì, tutto divenne nero, come se fosse diventata cieca, e poi la luce lampeggiò ancora e illuminò la caverna, e lei potè vedere di nuovo. Questo successe tre o quattro volte nel sogno. Lei continuava a dire: « Vengo» e lottava per muoversi, e si svegliò dicendo questa frase. Quando si svegliò non riuscì né a muoversi né a vedere (pp. 170 e seg.).

L'autore non riporta i dettagli dell'analisi di questo sogno, «per non stancare il lettore ». Ne dà sol tanto il seguente riassunto:

«Il sogno è una rappresentazione simbolica del concetto di vita della paziente (il sentiero roccioso), della sua paura per il futuro, che per anni ha detto di non osare affrontare; della sua sensazione che il futuro sia «cieco», che in esso non possa «vedere nulla»; del pensiero che sarebbe «sommersa», «perduta», « spazzata via» se cercasse di esaminarlo a fondo e di immaginarlo; e infine del fatto che non deve guardare. Eppure ci sono dei momenti nella sua vita, durante i quali realizza vividamente il futuro; e così ngTì sogno, uno di questi momenti è quello in cui gustfdà. nella caverna (il futuro), e nel lampo di una luce, comprende — vede suo figlio (in metamorfosi, attraverso > la sostituzione di un'altra persona) che viene tortu:- rato poiché pensa che sia torturato o impedito0(legato) dalle «punture di spillo» della vita. PoL segue la rappresentazione simbolica della sua totale . impotenza (la paralisi) nell'aiutare sia il figlio sia-chiunque altro, o nel cambiare le sue condizioni di vita- Infine seguono le conseguenze di questa predizione: diventa cieca, e in questa dimensione il sogno è Ja realizzazione di una paura (p. 171).

L'autore dice in conclusione: «In questo sogno, come negli altri, non troviamo niente di " inaccettabile" o "desideri repressi", nessun "conflitto" con il " censore ", nessun " compromesso ", nessuna " resistenza " e nessuna " maschera " che nel contenuto del sogno ingannino la paziente — elementi e processi fondamentali secondo la scuola psicologica di Freud» (p. 173).

Da questo rovinoso giudizio cancelleremo le parole «come negli altri», perché gli altri sogni sono stati analizzati in maniera così inadeguata che l'autore non ha il diritto di pronunciare un giudizio sulle basi delle precedenti «analisi». Soltanto l'ultimo sogno convalida questo giudizio e quindi lo considereremo più da vicino.

Non indugeremo sul simbolo costantemente ricorrente del dipinto di Watt, nel quale manca la figura dell'Amore, sostituita dai gatti nel sogno n. 5, mentre in quest'ultimo è sostituita da una figura che avverte la paziente di non guardare altrimenti diventerà «cieca». A questo punto si compone un'altra immagine notevole: l'analista tutto legato, con i vestiti strappati e sporchi ed il viso coperto di sangue, la situazione di Gulliver. Prince fa notare che è il figlio della paziente che si trova in questa situazione tormentosa, ma non dà altri dettagli. Da dove vengono le corde, il viso insanguinato, e i vestiti strappati? Cosa significa la situazione di Gulliver? Non ci viene detto niente su tutto questo. Poiché la paziente «non deve guardare nel futuro», la caverna simbolizza il futuro, fa notare Prince. Ma perché il futuro è simbolizzato dalla caverna? L'autore tace. Come si spiega che l'analista sostituisce il figlio? Prince parla dell'impotenza della paziente rispetto alla situazione del figlio, e osserva che è ugualmente impotente nei confronti dell'analista, perché non sa mostrargli la sua gratitudine. Ma questi sono, se possiamo dire così, due generi completamene1 differenti di impotenza, che non spiegano in modo sufficiente la condensazione delle due persone. Manca un essenziale ed inequivoco tertium comparationis. Tutti i particolari della situazione di Gulliver, specialmente i bastoncini di incenso incandescenti, non sono stati analizzati. Il fatto estremamente importante che l'analista stesso soffre torture infernali è passato completamente sotto silenzio.

Nel Sogno n. 3, l'analista colpisce ripetutamente il capo della paziente con una pietra, e questa tortura sembra avere qui una risposta, anche se ingrandita fino a diventare una fantasia di vendetta addirittura infernale. Senza dubbio queste torture erano escogitate dalla donna e dirette al suo analista (e forse anche a suo figlio); questo è quanto dice il sogno. Bisogna analizzare questo fatto. Se suo figlio è realmente «torturato» dalle «punture di spillo (morali) della vita», dobbiamo sapere in modo preciso perché nel sogno la paziente moltiplica questa tortura centinaia di volte e pone il figlio (o l'analista) nella situazione di Gulliver per poi mettere Gulliver nel «dannato buco». Perché l'analista deve imprecare sempre nei sogni? Perché la paziente si mette nei panni dell'analista e dice che non è in grado di portare aiuto, quando in realtà la situazione è capovolta?

Qui la strada porta a una realizzazione di desiderio. Ma l'autore non ha seguito questa via; non si è posto nessuna di queste domande né vi ha dato una risposta troppo superficiale, cosicché anche l'analisi deve essere definita « insoddisfacente» .

Con questo crolla l'ultimo puntello per una critica alla teoria dei sogni. Abbiamo bisogno di un critico che porti avanti le sue ricerche in modo completo, come ha fatto il fondatore della teoria, e che sia almeno in grado di spiegare i punti principali del sogno. Ma nelle analisi dell' autore, come abbiamo visto, i temi più importanti vengono ignorati. Non si può tirar fuori la psicoanalisi da un cappello, come sa molto bene chi ha provato; unumquemque movere lapidem è più vicino alla verità.

Soltanto dopo la conclusione di questo esame, ho letto la critica che Ernest Jones ha dedicato all'articolo di Morton Prince. Apprendiamo dalla risposta di Prince che egli non ha usato il metodo psicoanalitico: mi sembra che allora poteva evitare onestamente di criticare le scoperte della psicoanalisi. I suoi metodi analitici, come mostrano gli esempi appena dati, mancano talmente di perfezione scientifica che le conclusioni alle quali giunge non offrono nessuna base per una seria critica alla teoria sui sogni di Freud. Tutte le altre osservazioni, che culminano con l'ammissione che non sarà mai capace di considerare nello stesso modo la scuola analitica, non mi incoraggiano a fare altri sforzi per spiegargli i problemi della psicologia dei sogni o per discutere la sua risposta. Mi limito ad esprimere il mio disappunto per il fatto che sia arrivato persino a negare la preparazione e la competenza scientifica dei suoi oppositori.

Sulla critica della Psicoanalisi
(1910)

Lo psicoanalista sa molto bene che i profani, anche quelli con una cultura relativamente scarsa, sono in grado di comprendere, senza troppe difficoltà intel-lettuali, la natura e il fondamento logico della psicoanalisi. E questo vale anche per le persone colte, siano esse studiosi, uomini d'affari, giornalisti, artisti o insegnanti. Comprendono anche molto bene perché la psicoanalisi non può essere esposta nella forma convincente di un problema matematico. Chiunque abbia del buon senso, sa che una prova psicologica deve essere necessariamente diversa da una fisica, e che ogni ramo della scienza può offrire soltanto delle prove che si accordano con il suo materiale. Sarebbe interessante sapere che genere di prove empiriche si aspettano i nostri critici, se non delle prove sull'evidenza dei fatti empirici. Esistono questi fatti? Noi indichiamo le nostre osservazioni. I nostri critici, comunque, dicono semplicemente «No». Allora, cosa dobbiamo offrire se le nostre osservazioni positive vengono negate recisamente? In queste circostanze ci dovremmo aspettare che i nostri critici studiassero le nevrosi e le psicosi in modo completo, così come ab-biamo fatto noi (indipendentemente dal metodo della psicoanalisi), e che proponessero dei fatti di un genere completamente differente riguardo alla loro de-terminazione psicologica. Abbiamo aspettato per più di dieci anni. Il destino ha anche decretato che tutti i ricercatori che hanno lavorato in questo campo, indipendentemente dallo scopritore della nuova teoria, ma ugualmente a fondo, siano arrivati agli stessi risultati di Freud, e che coloro che si sono presi la briga di acquisire la conoscenza necessaria con l'aiuto di uno psicoanalista, sono riusciti a comprendere questi risultati.

In generale, dobbiamo aspettarci la resistenza più violenta dai medici e dagli psicologi, principalmente a causa dei pregiudizi scientifici basati su un diverso modo di pensare al quale si attaccano ostinatamente. I nostri critici, diversamente dai primi, sono più progrediti, in quanto hanno tentato di essere più seri e di fare delle osservazioni più caute: ma commettono tuttavia l'errore di criticare il metodo psicoanalitico come se questo si basasse su dei principi a priori, mentre in realtà è puramente empirico e manca totalmente di una qualsiasi struttura teorica finale. Tutto quello che sappiamo è che questa è la strada più rapida per trovare dei fatti che sono importanti per la nostra psicologia, ma che, come dimostra la storia della psico-analisi, si possono scoprire anche per altre vie più lunghe e più tortuose. Naturalmente saremmo felici se possedessimo una tecnica analitica che ci conducesse alla meta in modo più rapido e più degno di fiducia di quanto non sia possibile con il metodo attuale. Comunque, i nostri critici difficilmente saranno in gra-do di aiutarci nella ricerca di una tecnica più idonea, e di una che corrisponda meglio agli impegni della psicologia attuale, contestando semplicemente le nostre scoperte. Fin quando non verrà risolto il problema dei fatti, tutta la critica del metodo rimarrà a mezza strada, perché per quanto concerne i segreti fondamentali dei processi di associazione, i nostri oppositori ne sanno poco quanto noi. Dovrebbe essere ovvio per una persona raziocinante che ciò che importa sono semplicemente e unicamente i fatti empirici. Se la critica si limita al metodo, un giorno si arriverà facilmente a negare l'esistenza dei fatti semplicemente perché il metodo usato per scoprirli tradisce alcuni difetti teorici — un punto di vista che ci riporterebbe felicemente in pieno Medio Evo. A questo riguardo i nostri critici commettono dei gravi errori, ed è nostro dovere di persone intelligenti farli rilevare, poiché errare è umano.

Di quando in quando, comunque, la critica assume delle forme che suscitano il massimo interesse del ricercatore, poiché il tentativo scientifico del critico si spinge nel background nel modo più sorprendente,, con tutti i sintomi della partecipazione personale. Tali critici danno un contributo prezioso alla conoscenza delle tendenze personali nascoste sotto la cosiddetta critica scientifica. Non possiamo negarci il piacere di rendere accessibile al grande pubblico tale document humain.

REVISIONE DI KURT MENDEL DI UNA ESPOSIZIONE DEL PUNTO DI VISTA FREUDIANO

«L'autore, che ha letto molte opere di Freud e dei suoi seguaci e possiede egli stesso un'esperienza pratica di psicoanalisi2, deve ammettere che scopre molte cose decisamente ripugnanti in questa dottrina, in particolare nelle ultime osservazioni sull'erotismo anale e sulla sessualità dei bambini. Dopo aver letto attentamente l'opera in esame, si rivolse al più piccolo dei suoi figli, che giaceva innocentemente nel suo lettino e gli disse quanto segue: "Povero bambino mio! Immaginavo che tu fossi puro e casto, ma ora so che sei depravato e pieno di peccato! ' Dal primo giorno della tua esistenza hai condotto una vita sessuale ' (p. 184); sei un esibizionista, un feticista, un sadico, un masochista, un erotico-anale, un onanista — in breve, sei un ' perverso-polimorfo ' (p. 185). In realtà, come potrebbe essere altrimenti? Perché sei corrotto dalla nascita. Tuo padre ha la reputazione di essere insolita- fnente ordinato e parsimonioso, e i seguaci di Freud dicono che è un ostinato perché non vuole accettare interamente i loro insegnamenti. Insolitamente ordinato, parsimonioso e ostinato! Quindi un erotico-anale senza speranza! (Cf. Freud, Charakter und Analerotik, «Psych.neur. Wochenschr.», IX: 51). Per quanto riguarda tua madre, lei ripulisce la casa ogni mese. ' Le pulizie, , e in particolare le pulizie di Pasqua, sono la specifica ' reazione femminile all'erotismo anale rimosso' (Sadger, Analerotik und Analcharakter, «Die Heilkunde», Feb. 1910). Sei un erotico-anale congenito da parte di tuo padre e di tua madre! E poco fa, prima di andare a letto, non hai voluto ' vuotare gli intestini ' quando sei stato messo sul vasino, perché vuoi avere un piacere extra dalla - defecazione e ti piace quindi trattenere le feci '. In precedenza, in queste occasioni tuo padre diceva semplicemente a tua madre: ' Il bambino è stitico, dagli una pillola! Pfui! Quanto ero vergognosamente perverso allora, volgare mezzano e corruttore della gioventù! Non ti darò più il bacio della buonanotte, perché una carezza come questa ' risveglierebhe soltanto la tua sessualità' (p. 191). E non recitarmi più le tue preghiere della sera: ' Sono piccolo, il mio cuore è puro '3; perché sarebbe una menzogna; sei un dissoluto, un esibizionista, un feticista, un sadico, un masochista, un erotico-anale, un onanista, un ' perverso-polimorfo ' — da parte mia da parte di tua madre e per te stesso! Povero bambino mio! "

Freudiani! Ho affermato più volte che i vostri insegnamenti hanno aperto molte nuove e preziose prospettive. Ma per amore del cielo finitela con le vostre esagerazioni senza limiti e con le vostre assurde fantasie! Invece di giochi di parole dateci delle prove! Invece di libri umoristici, dateci delle opere serie da considerare seriamente! Provatemi la verità delle vostre squallide e calunniose affermazioni (p. 187): "C'è solo una forma di amore, e questa è l'amore erotico! ". Non immergete i nostri sentimenti più sacri, l'amore e il rispetto per i nostri genitori e il puro affetto per i nostri bambini nel fango delle vostre fantasie, con la continua accusa di sordidi motivi sessuali! Tutti i vostri argomenti finiscono nell'assioma: "Freud l'ha detto, quindi è così ". Ma io dico insieme a Goethe, il figlio di un erotico anale (Sadger, op. cit.):

Un uomo che specula

È come una bestia in una landa sterile

Portata in circolo da uno spirito maligno,

Mentre tutto intorno ci sono pascoli verdi e luminosi».

Riguardo alla Psicoanalisi
(1912)

'[Questa lettera di Jung era indirizzata alla redazione dello «Jahrbuch für psychoanalitische und psychopathologische Forschungen», Lipsia, II, 1910.]

Küsnacht, 28 Gennaio 1912

Al Direttore. Signore,

la ringrazio per avermi gentilmente invitato a pubblicare nelle vostre colonne un epilogo alla serie di articoli del «Neue Zürcher Zeitung». Tale epilogo potrebbe essere soltanto una difesa sia della validità scientifica che pensiamo di poter attribuire alla psicoanalisi, e che è stata attaccata tanto violentemente, sia delle nostre stesse capacità scientifiche. Quest'ultima difesa è per un verso offensiva del buon gusto, per un altro indegna di chiunque si sia dedicato al servizio della scienza. Ma si può portare avanti la difesa della verità soltanto se la discussione assume una forma obiettiva, e se gli argomenti di cui si fa uso provengono da un attento studio del problema, uno studio pratico e teorico. Sono sempre pronto a discutere con opposi-tori come questi, sebbene preferisca farlo in privato; comunque, l'ho già fatto in pubblico su un giornale scientifico.

Non risponderò dunque alla critica di quegli scienziati che in sostanza affermano: «Il metodo è moralmente pericoloso, quindi la teoria è sbagliata», oppure: «I fatti sostenuti dai seguaci di Freud non esistono ma scaturiscono semplicemente dalla fantasia morbosa di questi sedicenti ricercatori, e il metodo usato per scoprire questi fatti è in se stesso logicamente colpevole». Nessuno può affermare a priori che certi fatti non esistono: questo è un argomento scolastico ed è superfluo discuterlo.

Mi ripugna fare della propaganda alla verità e difenderla con degli slogans. Non ho ancora tenuto una conferenza pubblica se non alla Psychoanalitical Society e alla Swiss Psychiatric Society senza che prima non mi sia stato chiesto di farlo; nello stesso modo, ho scritto l'articolo sul «Rascher's Yearbook» soltanto su richiesta dell'editore, Konrad Falke. Non mi impongo al pubblico. Quindi non entrerò nell'arena per ingaggiare barbare polemiche in difesa di una verità scientifica. I pregiudizi e gli equivoci quasi senza limiti che affrontiamo potranno certamente impedire il progresso e il diffondersi della conoscenza scientifica ancora per molto tempo; e questa forse è una necessità della psicologia di massa, alle cui istanze si deve sottostare. Se questa verità non parla da sola è una ben misera verità ed è meglio che perisca: ma se vi è un'intima necessità, si farà strada nei cuori delle persone logiche e realistiche, anche senza grida di guerra e marziali squilli di trombe, e diventerà un ingrediente essenziale della nostra civiltà.

Non si deve addossare la colpa alla psicoanalisi per le indelicatezze di carattere sessuale che sfortunatamente occupano un posto tanto di rilievo negli scritti psicoanalitici. La nostra stessa opera di medici esigenti e responsabili, porta semplicemente alla luce queste sgradevoli fantasie, ma il biasimo per l'esistenza di questi fenomeni, qualche volta repellenti e perversi, si trova sicuramente nella ipocrisia della nostra moralità sessuale. Nessuna persona intelligente ha più bisogno di sentirsi dire che l'insegnamento del metodo psicoanalitico non consiste semplicemente in discussioni psicologiche sul sesso, ma ricopre ogni parte della vita. La meta di questo insegnamento, come ho espres-samente sottolineato nel «Rascher's Yearbook», non consiste nel fatto che l'uomo debba essere debole e cedere alle passioni, ma nel fatto che deve raggiungere il necessario autocontrollo. Malgrado le assicurazioni di Freud e mie, i nostri oppositori pensano che incoraggiamo la «licenziosità», e affermano che lo facciamo senza riflettere su ciò che diciamo.

Lo stesso è per la teoria della nevrosi — la teoria sessuale o della libido, come viene chiamata. Per anni ho messo in rilievo, sia nelle conferenze che nelle mie opere, che il concetto della libido è assunto in un senso molto generale, piuttosto come l'istinto di conservazione della specie, e che nel linguaggio psicoanalitico non significa precisamente «localizzata eccitazione sessuale», ma sta a indicare l'insieme di tutti gli sforzi e le volontà che superano i limiti dell'auto-conservazione, ed è in questo senso che viene usato. Anche recentemente ho espresso le mie opinioni su questi problemi generali in una voluminosa opera, ma i nostri baldi oppositori continuano a decretare che le nostre opinioni sono «volgarmente sessuali» come le loro. I nostri tentativi di esporre i nostri punti di vista in materia di psicologia sono del tutto inutili, poiché i nostri critici vogliono che questa teoria si risolva in una indicibile banalità. Mi sento impotente di fronte a questa schiacciante richiesta. Posso soltanto esprimere il mio sincero rammarico perché, per un malinteso che confonde il giorno con la notte, molte persone ci impediscono di usare gli straordinari insegnamenti permessi dalla psicoanalisi a beneficio del loro stesso sviluppo etico. Nello stesso modo, mi dispiace il fatto che, ignorando scioccamente la psicoanalisi, molte persone si rendano cieche alla profondità e alla bellezza dello animo umano.

Nessuna persona razionale può dire della ricerca scientifica e dei suoi risultati che ci sono delle persone rozze e irresponsabili che si servono di essa per prendere in giro il pubblico. Quale persona intelligente attribuirebbe l'esistenza di colpe e imperfezioni nell'esecuzione di un metodo usato per il bene del genere umano, al metodo stesso? A che punto sarebbe la chirurgia se si fosse negata la validità dei suoi metodi ogni volta che si è verificato un risultato mortale? In effetti la chirurgia è molto pericolosa, specialmente nelle mani di un pazzo: nessuno si affiderebbe ad un chirurgo inesperto né si farebbe togliere l'appendice da un barbiere. Così è per la psicoanalisi. Non si può negare che ci siano non soltanto degli psichiatri inesperti ma anche dei dilettanti che giocano irresponsabilmente con la psicoanalisi; ci saranno sempre di più, oggi e sempre, medici indegni e ciarlatani senza scrupoli; questo fatto non autorizza nessuno a considerare in blocco scienza, metodo, ricercatore e medico in una unica condanna.

Mi dispiace, Signore, di aver annoiato voi e i lettori del vostro giornale con queste verità lapalissiane, e quindi mi affretto a concludere. Dovete perdonarmi se il mio modo di scrivere qualche volta è un po' infuocato; ma nessuno, forse, è tanto al di sopra dell'opinione pubblica da non essere dolorosamente colpito da coloro che discreditano superficialmente i suoi onesti tentativi scientifici.

Vostro, ecc.

Dott. JUNG

 Aspetti generali della Psicoanalisi
(1913)

La psicoanalisi oggi è tanto una scienza quanto una tecnica. Dai risultati della tecnica si è sviluppata, nel corso degli anni, una nuova scienza psicologica che potrebbe essere chiamata «psicologia analitica». Preferirei usare l'espressione di Bleuler «psicologia del profondo», se questo genere di psicologia riguardasse soltanto l'inconscio.

Gli psicologi e i medici in generale non sono affatto pratici di questo particolare ramo della psicologia, poiché fino ad ora ne conoscono appena le basi tecniche. La ragione principale di tutto questo sta nel fatto che il nuovo metodo è di natura essenzialmente psicologica, e quindi non appartiene nè al regno della medicina nè a quello della filosofia. Di regola il medico ha una scarsa conoscenza della psicologia ed il filosofo non ha nessuna conoscenza medica: di conseguenza, manca il terreno adatto per piantare lo spirito di questo nuovo metodo. Inoltre, il metodo stesso sembra a molte persone così arbitrario che non riescono a conciliare il suo uso con la loro coscienza scientifica. Le esposizioni di Freud, il fondatore del metodo, davano grande rilievo ai fattori sessuali; questo suscitò dei forti pregiudizi e ripugnò a molti scienziati. Non occorre che io ripeta che tale avversione non è una ragione logica per rifiutare un nuovo metodo. Inoltre, in psicoanalisi si discute molto la storia dei casi, ma pochissimo il principio. Anche questo ha contribuito a rendere difficile la comprensione del metodo e, quindi, al fatto che lo si sia considerato poco scientifico: e se non riconosciamo il carattere scientifico del metodo, non possiamo riconoscere il carattere scientifico dei suoi risultati.

Prima di discutere del metodo psicoanalitico, devo parlare di due pregiudizi comuni che sorgono contro di esso. Il primo consiste nell'impressione che la psicoanalisi altro non sia che una forma piuttosto profonda e complicata di anamnesi. Sappiamo molto bene che una anamnesi è basata sulle affermazioni fatte dalla famiglia del paziente e sulla conoscenza di sé che questi dimostra quando risponde a delle domande dirette. Lo psicoanalista naturalmente riporta la sua anamnesi molto più accuratamente di ogni altro specialista; ma questa è semplicemente la storia del paziente e non deve essere confusa con l'analisi. L'analisi è la riduzione dei contenuti reali della coscienza, apparentemente di natura casuale, alle loro cause psicologiche. Questo processo non ha niente a che fare con la ricostruzione anamnestica della storia della malattia.

Il secondo pregiudizio, che si basa, come al solito, su una conoscenza superficiale delle opere psicoanalitiche, è che la psicoanalisi sia un metodo di suggestione, attraverso il quale alcuni tipi di insegnamenti sistematici vengono istillati nel paziente, che ne ottiene una guarigione alla maniera delle guarigioni mentali della Christian Science. Molti analisti, in particolar modo quelli che hanno praticato per molto tempo la psicoanalisi, usavano in precedenza la terapia della suggestione, e quindi sanno molto bene cosa è e cosa non è la suggestione. Sanno che il metodo di lavoro dello psicoanalista è diametralmente opposto a quello dell'ipnotizzatore. In diretto contrasto con la terapia della suggestione, lo psicoanalista non tenta di far accettare al paziente dei contenuti che quest'ultimo non riesce a vedere da solo e che non siano plausibili per la sua comprensione. Di fronte alla costante richiesta di suggerimenti e di consigli da parte del nevrotico, l'analista tenta costantemente di farlo uscire da questo atteggiamento passivo e di fargli fare uso del suo buon senso e delle sue facoltà di critica per prepararlo ad una vita indipendente. Desidererei che uno di questi critici tentasse di far accettare delle interpretazioni arbitrarie ai miei pazienti, che molto spesso sono delle persone intelligentissime e molto colte — infatti non è raro che vi siano tra loro anche dei colleghi. La impossibilità di tale impresa verrebbe rapidamente dimostrata. Nella psicoanalisi dipendiamo interamente dal paziente e dalle sue facoltà di giudizio, perché la stessa natura dell'analisi consiste nel portarlo a conoscere se stesso. I principi della psicoanalisi sono completamente differenti da quelli della terapia ipnotica, tanto che su questo punto i due metodi non possono essere paragonati.

È stato anche fatto un tentativo di paragonare la psicoanalisi al metodo raziocinante di Dubois, che è un procedimento essenzialmente razionale. Ma questo ragionamento non è valido perché lo psicoanalista evita rigorosamente di ragionare e di discutere con i suoi pazienti. Naturalmente deve ascoltare i loro problemi e i loro conflitti consci e prenderne nota, ma non per soddisfare il loro desiderio di ottenere consigli e suggerimenti riguardo alla condotta della loro vita. I problemi di un nevrotico non possono essere risolti da consigli e da ragionamenti coscienti. Non du-bito che un buon consiglio al momento giusto possa produrre dei buoni risultati, ma non so come si possa pensare che lo psicoanalista possa sempre dare il consiglio giusto al momento giusto. I conflitti nevrotici sono, di frequente, anzi solitamente, di una natura tale che non si possono assolutamente dare dei consigli. Inoltre, si sa molto bene che soltanto il paziente vuole dei consigli autorevoli per liberarsi dal fardello delle responsabilità, affidando se stesso e gli altri all'opinione di un'autorità più alta. Per quanto riguarda il ragiona-mento e la persuasione, i loro effetti come metodi terapeutici son talmente poveri da dover essere considerati alla stessa stregua di quelli dell'ipnosi. Ciò che vorrei far notare, è la sua differenza di principio dalla psicoanalisi.

In contrasto con tutti i metodi precedenti, la psicoanalisi tenta di superare i disordini della psiche del nevrotico attraverso l'inconscio, e non attraverso la parte cosciente della sua psiche. In quest'opera naturalmente abbiamo bisogno dei contenuti del pensiero conscio del paziente, perché soltanto in questo modo possiamo raggiungere l'inconscio. Il contenuto conscio dal quale comincia il nostro lavoro è il materiale fornito dall'anamnesi: in molti casi l'anamnesi fornisce delle utili indicazioni che chiariscono al paziente l'origine psichica dei suoi sintomi. Questo, naturalmente, è necessario soltanto quando questi è convinto che la sua nevrosi sia di origine organica. Ma anche in quei casi in cui il paziente è convinto sin dall'inizio della natura psichica della sua malattia può essere utile un esame critico dell'anamnesi, perché con esso viene svelato un contesto psicologico del quale precedentemente non si rendeva conto. In questo modo vengono portati alla superficie dei problemi che spesso hanno bisogno di una discussione particolare, e questo lavoro può impegnare molte sedute. Infine, la spiegazione del materiale conscio si conclude quando né l'analista né il paziente possono più portarvi dei contributi di importanza decisiva. Nel migliore dei casi la fine giunge con l'esposizione di problemi che, molto spesso, si dimostrarono insolubili.

Prendiamo il caso di un uomo, una volta completamente sano, che sviluppò, tra i trentacinque e i quaranta anni, una nevrosi. Aveva moglie e figli e una posizione assicurata nella vita. Parallelamente a questa nevrosi sviluppò una forte resistenza contro il suo lavoro. Aveva notato che i primi sintomi della nevrosi erano evidenti quando doveva superare un ostacolo particolarmente difficile della sua carriera; aveva per contro dei miglioramenti passeggeri ogni volta che la fortuna lo favoriva nel lavoro. Il problema che si presentò dopo una discussione critica dell'anamnesi fu il seguente: il paziente sapeva di poter migliorare il suo lavoro e che la soddisfazione che ne avrebbe ricavato gli avrebbe consentito il tanto sospirato miglioramento della sua condizione di nevrotico; tuttavia non era in grado di eseguire più efficientemente il suo lavoro a causa della sua forte resistenza ad esso. Questo problema è razionalmente insolubile. Il trattamento psicoanalitico deve cominciare quindi dal punto critico, cioè la sua resistenza al lavoro.

Prendiamo un altro caso. Una donna di quaranta anni, madre di quattro bambini, divenne nevrotica quattro anni dopo la morte di uno dei suoi figli. Le sue condizioni migliorarono molto dopo una nuova gravidanza seguita dalla nascita di un altro bambino. Ora pensava che se ne avesse potuto avere un altro avrebbe avuto un altro miglioramento. Comunque sapeva di non potere avere più bambini, così tentò di de-dicare tutte le sue energie in attività filantropiche, ma non riuscì ad ottenere la minima soddisfazione da questo lavoro. Notò che aveva un netto miglioramento, anche se momentaneo, quando riusciva a provare un vero interesse per qualche cosa; comunque, non riusciva assolutamente a trovare un'attività che le suscitasse un interesse e una soddisfazione duraturi. È evidente l'insolubilità razionale di questo problema. La opera dello psicoanalista doveva cominciare dalla domanda: cosa impediva alla paziente di formarsi un interesse oltre al suo desiderio di avere un figlio?

Poiché non possiamo fingere di sapere sin dall'inizio qual'è la soluzione di questi problemi, dobbiamo contare sulle indicazioni fornite dall'individualità del paziente. Né un'interrogazione a livello conscio né un consiglio razionale ci aiutano a scoprire queste indicazioni, perché gli ostacoli che ci impediscono di trovarle sono nascosti al di sotto della coscienza del paziente. Quindi, non esiste un modo definitivamente stabilito per riuscire a capire questi ostacoli incònsci. L'unica regola che la psicoanalisi formula a questo riguardo è: lasciar parlare il paziente di ogni cosa che gli viene in mente. Per cominciare, l'analista deve studiare attentamente cosa dice il paziente, prendendone semplicemente nota e senza tentare di fargli accettare le proprie opinioni. Notiamo, per esempio, che nel primo dei due casi, il paziente cominciò a parlare del suo matrimonio che in precedenza aveva definito «normale»: ora, invece, apprendiamo che aveva delle difficoltà con la moglie e che non riusciva a comprenderla. Questo fatto spinse l'analista a notare che il paziente non aveva solo il problema del lavoro, e di conseguenza si doveva esaminare anche il rapporto di quest'uomo con la moglie. Si cominciò con una serie di associazioni tutte relative al matrimonio. Poi seguirono delle associazioni riguardo alle relazioni amorose che aveva avuto prima di sposarsi: queste esperienze dimostrarono che il paziente era sempre piuttosto bizzarro nelle sue relazioni più intime con le donne, e che questa bizzarria prendeva la forma di un egoismo infantile. Questo fu per lui un nuovo e sorprendente punto di vista, che gli spiegò molti dei suoi insuccessi con le donne.

Comunque non sempre possiamo fare progressi soltanto basandoci sul principio elementare di far parlare il paziente; sono pochi i nevrotici che presentano il materiale psichico tanto in superficie. Inoltre, molti pazienti hanno una vera e propria resistenza contro il parlare liberamente di ciò che viene loro in mente dietro l'impulso del momento: alcuni perché è troppo doloroso raccontarlo all'analista se pensano di non potersi fidare completamente di lui, altri perché evidentemente non hanno delle associazioni e si costringono a parlare di cose a loro quasi indifferenti. Il trucco di non parlare dell'argomento non prova che il paziente nasconda consciamente determinati contenuti dolorosi; questo può anche accadere quasi inconsciamente. In casi del genere, qualche volta si può aiutare il paziente dicendogli che non occorre che si sforzi, ma che occorre soltanto che afferri proprio il primo pensiero che gli viene in mente e che non importa se gli sembra insignificante o ridicolo. In certi casi anche queste istruzioni sono inutili, e allora l'analista deve ricorrere ad altre misure. Una di queste è l'esperimento di associazione, che normalmente fornisce le giuste informa-zioni sulle principali tendenze del paziente in un momento dato.

Un altro mezzo è l'analisi dei sogni; questo è il vero strumento della psicoanalisi. Abbiamo già sperimentato tanta opposizione all'analisi dei sogni che non sarà fuori luogo una breve esposizione dei suoi principi. Come sappiamo, l'interpretazione dei sogni e il significato che ad essi viene dato non è molto in auge. Non è passato molto tempo da quando si praticava e si credeva nell'oniromanzia, né è passato molto tempo da quando anche le persone più illuminate subivano il fascino della superstizione. Quindi si comprende abbastanza bene perché la nostra epoca ospiti ancora un vivo timore delle superstizioni che sono state superate soltanto in parte. Questa differenza, questo sospetto di superstizione è in gran parte responsabile dell'opposizione che incontra l'interpretazione dei sogni, ma non si può assolutamente incolpare di questo la psicoanalisi. Abbiamo scelto il sogno non perché gli rendiamo l'onore di un'ammirazione superstiziosa ma perché è un prodotto psichico indipendente dalla coscienza. Chiediamo al paziente delle associazioni libere, ma otteniamo poco o niente, o quanto meno risultati forzati e irrilevanti. Un sogno è una libera associazione, una libera fantasia, non è in alcun modo forzato ed è un fenomeno psichico tanto quanto lo è un'associazione.

Non posso nascondere il fatto che, nella pratica, specialmente all'inizio di un'analisi, non facciamo sempre delle analisi complete ed esaurienti dei sogni. Normalmente riuniamo tutte le associazioni-sogno fin quando il problema che il paziente ci nasconde non diviene tanto chiaro da essere riconosciuto dal paziente stesso; questo problema viene poi elaborato a livello conscio finché non viene chiarito al limite massimo; quindi ci troviamo ancora una volta davanti ad una domanda alla quale è impossibile rispondere.

Ci si domanderà cosa si può fare quando il paziente non sogna affatto. Posso assicurare che finora tutti i pazienti, anche quelli che dicevano di non aver mai sognato prima, cominciarono a sognare quando veniva conclusa l'analisi. D'altra parte accade spesso che i pazienti che cominciavano a sognare, all'improvviso non siano più in grado di ricordare i loro sogni. La regola empirica e pratica che ho sempre adottato consiste nel tenere conto di ciò: il paziente, se non sogna, possiede ancora del materiale conscio sufficiente che trattiene per determinate ragioni. Una ragione molto comune è «Sono nelle mani dell'analista e sono completamente disposto a farmi curare da lui. Ma l'analista deve fare il suo lavoro ed io rimarrò pas-sivo». Qualche volta ci sono delle resistenze di natura più seria. Per esempio, certi pazienti che non riescono ad ammettere l'esistenza in se stessi di determinati difetti morali, li proiettano sull'analista, arrivando tranquillamente ad argomentare che, nella misura in cui questi ha delle deficienze morali più o meno gravi, non gli si possono comunicare certe cose sgradevoli.

Se poi un paziente non sogna sin dall'inizio o smette di sognare, significa che trattiene del materiale che potrebbe fornire un'elaborazione conscia. In questo caso, la relazione tra il paziente e l'analista può essere considerata uno degli ostacoli principali: essa può impedire ad entrambi di vedere chiaramente la situazione. Non dobbiamo dimenticare che poiché l'analista mostra, e lo deve fare, un profondo interesse per la psicologia del paziente, anche il paziente, se ha una mente attiva, cerca di penetrare con cautela nella psicologia dell'analista, e adotta un atteggiamento adeguato verso di lui. L'analista non si può rendere conto dell'atteggiamento del paziente esattamente nella stessa misura in cui non sa vedere in se stesso e non si rende conto dei propri problemi inconsci. Per questa ragione sostengo che un medico deve farsi analizzare prima di praticare l'analisi, altrimenti l'analisi lo può deludere facilmente, perché egli, di fronte a certe situazioni, potrà insabbiarsi del tutto e perdere la testa. Allora penserà che la psicoanalisi sia un nonsenso, per evitare di ammettere di essersi arenato. Se si è sicuri della propria psi-cologia si può dire tranquillamente al paziente che se non sogna vuol dire che c'è del materiale conscio che deve essere ancora sviluppato. Dico che bisogna essere sicuri in questi momenti, perché la critica e i giudizi spietati ai quali qualche volta si deve sottostare possono turbare eccessivamente chi non è preparato ad affrontarli. La conseguenza immediata della perdita dell'equilibrio dell'analista, sarà che questi comincerà a discutere con il paziente per mantenere la sua influenza su di lui. Questo, naturalmente, renderà impossibile ogni altra analisi.

Ho detto, nel primo esempio, che i sogni devono essere considerati soltanto come fonte del materiale per l'analisi. All'inizio di un'analisi non soltanto non è necessario, ma talvolta imprudente, dare una cosiddetta interpretazione completa del sogno. In effetti è molto difficile interpretare un sogno in modo completo e veramente esauriente. Molto spesso, le interpretazioni che si leggono nelle opere psicoanalitiche sono unilaterali, e raramente non presentano il fianco a contestazioni. Proprio per la complicatissima sfaccettatura che il materiale del sogno presenta ci si deve guardare da formulazioni unilaterali. Tra queste includo le riduzioni sessuali unilaterali proprie della scuola viennese. Il molteplice significato di un sogno, piuttosto che la sua unicità di significato, è del massimo valore specialmente all'inizio del trattamento.

Per esempio, una paziente fece il seguente sogno, poco dopo l'inizio dell'analisi. Si trovava in un hotel in una strana città. Improvvisamente scoppiò un incendio. Suo marito e suo padre, che erano con lei, l'aiutarono nell'opera di soccorso.

La paziente era molto intelligente, incredibilmente scettica e assolutamente convinta che l'analisi dei sogni fosse una sciocchezza. Incontrai molte difficoltà ad indurla ad accettare almeno una prova. Scelsi il fuoco, l'evento più notevole del sogno, come punto di partenza per le associazioni. La paziente mi disse che recentemente aveva letto in un giornale che un certo albergo di Zurigo era stato distrutto da un incendio; e che se lo ricordava perché c'era stata una volta. In quell'albergo aveva conosciuto un uomo e fra loro era nata una relazione amorosa alquanto discutibile. Da questa associazione venne fuori che aveva già avuto molte altre avventure simili, tutte decisamente superficiali. Questo frammento della sua storia passata fu portato alla luce proprio dalla prima associazione. Nel suo caso, sarebbe stato inutile spiegarle il significato, molto ovvio, del sogno. Con il suo atteggiamento frivolo, del quale il suo scetticismo era solo un aspetto particolare, avrebbe decisamente respinto ogni tentativo dell'analista: ma dopo averle fatto ammettere la sua frivolezza, dimostrata dal materiale che lei stessa aveva fornito, fu possibile analizzare in modo più completo i sogni che seguirono.

Quindi all'inizio è consigliabile usare i sogni soltanto per individuare e comprendere il materiale critico attraverso le associazioni. Questo è il procedimento migliore ed il più cauto, specialmente per i principianti nella psicoanalisi: è invece del tutto sconsigliabile un'arbitraria interpretazione del sogno; sarebbe in un certo senso come seguire una pratica superstiziosa, perché basata sulla supposizione che i sogni abbiano dei significati simbolici stabiliti. Noi sappiamo invece che non esistono dei significati simbolici fissi; ci sono dei simboli che ricorrono frequentemente, ma non siamo in grado di andare oltre questa affermazione generale. Per esempio, è del tutto inesatto supporre che un serpente, quando appare nei sogni, abbia sempre un significato puramente fallico; proprio com'è inesatto negare che in alcuni casi possa avere un significato fallico. Ogni simbolo ha almeno due significati: il significato sessuale più frequente dei simboli dei sogni è al massimo uno di quelli possibili. Non posso, quindi, accettare le interpretazioni esclusivamente sessuali che appaiono in certe pubblicazioni psicoanalitiche, come non posso accettare del tutto la concezione del sogno come realizzazione di un desiderio, perché l'esperienza mi ha portato a considerare questa formulazione come unilaterale e inadeguata. Come esempio, racconterò il sogno di un mio giovane paziente: stavo salendo una rampa di scale con mia madre e mia sorella. Quando raggiungemmo la cima mi dissero che mia sorella stava per avere un bambino.

Per prima cosa mostrerò entro quali limiti, secondo l'opinione che finora prevale, questo sogno possa essere interpretato da un punto di vista sessuale. Sappiamo che le fantasie incestuose giocano un ruolo importante nella vita del nevrotico, e di conseguenza l'immagine «con mia madre e mia sorella» potrebbe essere interpretata come un cenno in questa direzione. Le «scale» hanno un significato sessuale ben preciso: rappresentano l'atto sessuale perché legate a una nozione di ascesa ritmica. Il bambino che la sorella attende, non è altro che la conseguenza logica di questa premessa. Così tradotto, il sogno sarebbe una chiara realizzazione dei cosiddetti desideri infantili, che, come si sa, sono una parte importante della teoria dei sogni di Freud.

Ho analizzato questo sogno sulle basi del seguente ragionamento: se dico che le scale sono un simbolo per l'atto sessuale, con quale diritto assumo la madre, la sorella e il bambino quali realmente sono e non simbolicamente? Se, sulla base dell'asserzione che le immagini del sogno sono simboliche, assegno un valore simbolico a queste immagini, quale diritto ho per escludere certe altre? Se attribuisco un valore simbolico all'ascesa delle scale, devo attribuire anche un valore simbolico alle immagini chiamate madre, sorella e bambino. Quindi non «tradussi» il sogno ma lo analizzai veramente. Il risultato fu sorprendente. Vi darò parola per parola le associazioni del paziente per ogni immagine del sogno, in modo che possiate for-marvi un'idea del materiale. Devo dire subito che il giovane aveva finito gli studi all'università pochi mesi prima, che aveva trovato troppo difficile scegliere una professione; in seguito a ciò era emersa la nevrosi. Il giovane aveva di conseguenza rinunziato al suo lavoro. Devo aggiungere che la sua nevrosi aveva preso una forma chiaramente omosessuale.

Le sue associazioni a madre furono le seguenti: «Non l'ho vista per molto tempo, moltissimo tempo. Mi devo veramente rimproverare per questo, faccio male a trascurarla così.»

Madre, quindi, stava per qualcosa che viene trascurato in maniera irresponsabile. Chiesi al paziente: «Che cos'è?» e mi rispose, con notevole imbarazzo: «Il mio lavoro ».

Le associazioni a sorella: «Sono anni che non la vedo. Desidero ardentemente rivederla. Ogni volta che penso a lei ricordo sempre il momento in cui le dissi addio. La baciai con vero affetto e in quel momento compresi per la prima volta cosa significa l'amore per una donna». Il paziente si rese subito conto che « sorella» stava per «amore per una donna».

Le associazioni a scale: «Arrampicarsi — raggiungere la cima — fare carriera — crescere — diventare grandi».

Le associazioni a bambino: «Neonato — rinnovamento — rinascita — diventare un uomo nuovo».

È sufficiente uno sguardo a questo materiale per comprendere che il sogno rappresenta non tanto la realizzazione di desideri infantili, quanto la realizzazione di doveri biologici che il paziente ha trascurato per il suo infantilismo nevrotico. La giustizia biologica, che è inesorabile, spesso ci costringe a compensare nei sogni i doveri che abbiamo trascurato nella vita reale.

Questo sogno è un tipico esempio della funzione prospettiva e orientata verso una meta dei sogni in generale, particolarmente messa in rilievo dal mio collega Maeder. Se avessimo accettato l'interpretazione sessuale unilaterale ci sarebbe sfuggito il vero significato del sogno. La scoperta della sua prospettiva o significato finale è particolarmente importante durante lo sviluppo dell'analisi, e il paziente è più pronto a volgersi verso il futuro che non verso la sua vita intima e verso il passato.

Per quanto riguarda il modo di usare il procedimento simbolico, impariamo da questo esempio che non ci possono essere dei simboli onirici dei quali siano stati stabiliti in dettaglio i significati, ma, al massimo, che ci sono spesso dei simboli che hanno dei significati abbastanza generali. Per quanto riguarda il significato specificatamente sessuale dei sogni, l'esperienza mi ha portato a formulare le seguenti regole.

Se l'analisi fin dall'inizio del trattamento mostra che i sogni hanno un significato indubbiamente sessuale, questo significato deve essere considerato realisticamente; cioè, dimostra che i problemi sessuali del paziente devono essere sottoposti ad un attento esame. Per esempio, se una fantasia incestuosa si mostra come il contenuto latente di un sogno, si devono sottoporre ad una completa indagine le relazioni infantili del paziente con i suoi genitori, con i fratelli e con le sorelle, e quelle delle altre persone che possono interpretare il ruolo del padre o della madre. Ma se un sogno che giunge durante uno stadio avanzato dell'analisi ha, diciamo così, una fantasia incestuosa come contenuto essenziale — una fantasia che abbiamo ragione di considerare di liberazione — non dovrebbe esserle sempre attribuito un valore reale; dovrebbe essere considerata come simbolica.

La formula per l'interpretazione è: per analogia viene espresso il significato sconosciuto del sogno, attraverso una fantasia di incesto. Se non andassimo al di là del valore reale, continueremmo a ridurre il paziente alla sessualità, e ciò arresterebbe lo sviluppo della sua personalità. Non salveremo il paziente respingendolo ancora una volta nella sessualità primitiva, poiché in tal modo lo lasceremmo ad un livello culturale estremamente basso, dal quale non riuscirebbe mai a liberarsi e ad ottenere una guarigione completa. La retrocessione ad uno stato primitivo non è di nessun vantaggio per un essere umano civile.

Questa formula, secondo la quale la sessualità di un sogno è un'espressione simbolica o analogica del suo significato, si applica naturalmente anche ai sogni che si presentano all'inizio dell'analisi. Ma le ragioni pratiche che ci hanno costretto a non prendere in considerazione il valore simbolico di queste fantasie sessuali nascono dal fatto che si deve attribuire un autentico valore realistico a queste fantasie sessuali anormali di un nevrotico, in quanto questi permette che le sue azioni ne siano influenzate. Le fantasie non soltanto gli impediscono di adattarsi alla sua situazione, ma lo portano a vere e proprie forme di atto sessuale, e di quando in quando persino all'incesto, come ci mostra l'esperienza. In queste circostanze, sarebbe poco utile considerare solo il contenuto simbolico; deve essere trattato prima l'aspetto reale.

Queste affermazioni sono basate, come avrete notato, su una concezione del sogno diversa da quella avanzata da Freud. Infatti, l'esperienza mi ha costretto ad ammettere un concetto differente. Secondo Freud, il sogno è essenzialmente una maschera simbolica dei desideri repressi che entrerebbero in conflitto con gli scopi reali della personalità. Sono costretto a considerare la struttura di un sogno da un punto di vista diverso. Secondo me il sogno è, in primo luogo, un quadro subliminale della reale situazione psicologica dell'individuo nel suo stato di veglia. Ci dà un résumé del materiale associativo subliminale costellato dalla situazione psicologica del momento. Il contenuto volizionale del sogno, che Freud chiama il desiderio represso, secondo me è essenzialmente un mezzo di espressione.

L'attività della coscienza rappresenta, biologicamente parlando, la lotta dell'individuo per l'adattamento psicologico. La coscienza tenta di adattarsi alle necessità del momento, o, per dirla in modo differente, l'individuo ha davanti a sé dei doveri che deve superare. In molti casi la soluzione è, nella natura delle cose, sconosciuta, perché la coscienza cerca sempre di trovarla attraverso esperienze analoghe. Tentiamo di afferrare il futuro ignoto riesumando le nostre esperienze passate. Non abbiamo ragioni per supporre che il materiale psichico subliminale obbedisca ad altre leggi oltre a quelle del materiale «supraliminale». L'inconscio, come il conscio, si mobilita intorno ai compiti biologici e cerca la soluzione nell'analogia con ciò che è stato prima, proprio come fa la coscienza. Ogni volta che desideriamo assimilare qualcosa di sconosciuto, lo facciamo per mezzo della analogia. Un esempio molto semplice di tutto ciò è un fatto ben conosciuto: quando gli Spagnoli scoprirono la America, gli Indiani scambiarono i cavalli dei conquistatori, di cui ignoravano l'esistenza, per dei grossi porci, perché nella loro esperienza conoscevano soltanto i maiali. Riconosciamo le cose sempre in questo modo, e questa è anche la ragione essenziale dell'esistenza del simbolismo: è un processo di comprensione per mezzo dell'analogia.

Il sogno è un processo di comprensione subliminale mediante analogia. I desideri evidentemente repressi sono tendenze volizionali, che forniscono ai pensieri del sogno, che sono inconsci, un mezzo verbale di espressione. Su questo punto particolare mi trovo completamente d'accordo con Adler, un altro allievo di Freud.

Per quanto riguarda il fatto che l'inconscio si esprime per mezzo di elementi volizionali o tendenze, questo è dovuto alla natura arcaica del modo di pensare nel sogno, un problema che ho già discusso.

Poiché abbiamo una differente concezione della struttura dei sogni, il corso successivo dell'analisi assume un aspetto piuttosto diverso. La valutazione simbolica delle fantasie negli ultimi stadi porta necessariamente non ad una riduzione della personalità alle tendenze primitive, ma ad un ampliamento e a un continuo sviluppo dell'atteggiamento del paziente; cioè, tende a rendere più ricco e più profondo il suo pensiero, fornendogli così quella che è sempre stata una delle armi più potenti dell'uomo nella lotta per l'adattamento. Seguendo coerentemente questo nuovo corso, mi sono reso conto del fatto che le forze motrici religiose e filosofiche — ciò che Schopenhauer chiama il «bisogno metafisico» dell'uomo -— meritano di ricevere una considerazione effettiva durante l'analisi. Non devono essere distrutte riducendole alle loro radici sessuali primitive, ma si devono considerare in quanto costruite per servire gli scopi biologici come fattori psicologicamente preziosi. In questo modo queste antiche forze motrici assumono una volta di più la funzione che è stata loro già da tempo immemorabile.

Proprio come l'uomo primitivo fu in grado, con l'aiuto dei simboli religiosi e filosofici, di liberarsi dalla sua condizione originaria, così anche il nevrotico può liberarsi dalla sua malattia. Non è necessario che faccia notare che non intendo inculcare al paziente un credo sotto forma di dogma religioso o filosofico; intendo dire che deve essere costruito in lui quello stesso atteggiamento che era caratterizzato dal profondo credo in un dogma religioso o filosofico ai primi stadi della cultura. Un atteggiamento religioso o filosofico non è la stessa cosa di un credo in un dogma. Un dogma è una temporanea formulazione intellettuale, il risultato di un atteggiamento religioso o filosofico condizionato dal tempo e dalle circostanze. Ma l'atteggiamento stesso è un risultato culturale; è una funzione estremamente preziosa da un punto di vista biologico, perché dà origine agli incentivi che guidano gli esseri umani a svolgere un'attività creativa a beneficio di un'epoca futura e, se necessario, a sacrificarsi per il bene della specie.

Così l'uomo raggiunge lo stesso senso di unità e di completezza, la stessa fiducia, la stessa capacità di auto-sacrificio nella sua esistenza conscia che appartiene inconsciamente e istintivamente agli animali selvatici. Ogni riduzione, ogni digressione dal sentiero che è stato tracciato per lo sviluppo della civiltà, non fa altro che trasformare l'essere umano in un animale deformato; non lo rende mai quello che viene chiamato un uomo naturale. Nel corso della mia pratica analitica ho avuto molti successi e molti insuccessi che mi hanno convinto dell'inesorabile esattezza di questo tipo di orientamento psicologico. Non aiutiamo il nevrotico liberandolo dalle richieste pressanti della civiltà; possiamo aiutarlo soltanto inducendolo a prendere parte attiva all'arduo lavoro nel far proseguire il suo sviluppo: la sofferenza che patisce nel compiere questo servizio prende il posto della sua nevrosi. Ma mentre la nevrosi e i disturbi che la accompagnano non sono mai seguiti dalla piacevole sensazione che dà un lavoro ben fatto, un dovere compiuto senza timori e la fatica che proviene dal lavoro utile e dalla vittoria sulle vere difficoltà, porta con sé momenti di pace e di soddisfazione che danno all'essere umano l'inestimabile sensazione di aver realmente vissuto la sua vita.

 Psicoanalisi e Nevrosi
(1916)

Dopo molti anni di esperienza so che è estremamente difficile discutere di psicoanalisi nelle conferenze e nei congressi. Ci sono tanti concetti errati sulla questione, tanti pregiudizi contro certe opinioni della psicoanalisi, che è un compito quasi impossibile raggiungere la reciproca comprensione in una discussione pubblica. Ho sempre trovato molto più utile e fruttuosa una calma conversazione che delle surriscaldate discussioni coram publico. Comunque, essendo stato onorato dall'invito del Comitato di questo Congresso a parlare in qualità di rappresentante del movimento psicoanalitico, mi propongo di discutere nel migliore dei modi alcuni problemi teorici fondamentali della psicoanalisi. Mi devo limitare a questo aspetto dell'argomento perché non sono assolutamente in grado di esporre al mio pubblico tutto ciò che la psicoanalisi significa e tutto ciò che si sforza di raggiungere, e le sue varie applicazioni nel campo della mitologia, delle religioni comparate, della filosofia, ecc. Ma se devo discutere certi problemi essenziali per la psicoanalisi, devo supporre che il mio pubblico conosca lo sviluppo e i risultati principali della ricerca psicoanalitica. Sfortunatamente, succede spesso che la gente si creda autorizzata a giudicare la psicoanalisi quando non ha letto nulla sull'argomento. Ê mia ferma convinzione che nessuno possa formarsi alcuna opinione in materia finché non ha studiato le opere fondamentali della scuola psicoanalitica.

Sebbene la teoria di Freud sulla nevrosi sia stata elaborata in ogni particolare, non si può dire, nell'insieme, che sia molto chiara o facile da comprendere. Questo mi giustifica nel darvi una breve sintesi dei suoi concetti fondamentali.

Sapete che circa quindici anni fa è stata abbandonata la teoria originale secondo la quale l'isteria e le relative nevrosi hanno origine da un trauma o shock sessuale avvenuto nella prima infanzia. Fu subito evidente che il trauma sessuale non poteva essere la vera causa della nevrosi, per la semplice ragione che si scoprì che il trauma era un fatto quasi universale. È raro che un essere umano non abbia avuto un trauma sessuale nella prima infanzia, eppure è relativamente ristretto il numero di coloro nei quali si sviluppa in seguito una nevrosi. Freud stesso comprese presto che molti dei suoi pazienti che raccontavano la storia di una prima esperienza traumatica, l'avevano soltanto inventata; in realtà il cosiddetto trauma non era mai avvenuto, era una pura creazione della fantasia. Inoltre, dopo ulteriori ricerche, divenne del tutto ovvio che, anche se effettivamente si era verificato un trauma, questo non era sempre la causa di tutte le nevrosi, per quanto a volte possa sembrare che la struttura della nevrosi dipenda interamente da esso. Se una nevrosi fosse l'inevitabile conseguenza di ogni trauma, sarebbe del tutto incomprensibile il fatto che i nevrotici non siano molto più numerosi di quanti sono in realtà.

L'effetto — evidentemente ingigantito — dello shock era dovuto chiaramente alla fantasia morbosa del paziente. Freud scoprì anche che questa stessa fantasia si era già manifestata relativamente presto, dando luogo a cattive abitudini, che chiama perversioni infantili. Il mio nuovo concetto dell'enologia della nevrosi era basato su questa intuizione, e riconduceva la nevrosi a qualche attività sessuale della prima infanzia. Questo concetto lo ha portato a concludere che il nevrotico si sia «fissato» su un certo periodo della sua prima infanzia, perché di questa fase del suo sviluppo sembra conservare qualche traccia, diretta o indiretta, nel suo atteggiamento mentale. Freud tentò anche di classificare o differenziare sia la nevrosi, sia la demenza precoce secondo lo stadio dello sviluppo infantile nel quale ebbe luogo la fissazione. Da questo punto di vista, un nevrotico sembra dipendere interamente dal suo passato, e tutti i suoi successivi disturbi, i suoi conflitti morali e le sue deficienze sembrano derivare dalla potente influenza esercitata sulla psiche da quel periodo. Di conseguenza, il compito principale del trattamento consiste nel risolvere questa fissazione infantile, che si crede sia un attaccamento inconscio della libido sessuale a certe fantasie infantili e a certe abitudini infantili.

Questa, per quanto possa comprendere, è l'essenza della teoria di Freud sulla nevrosi. Ma non si deve tralasciare questa domanda importante: qual'è la causa di questa fissazione della libido su vecchie fantasie e su vecchie abitudini infantili? Dobbiamo ricordare che quasi tutti hanno avuto qualche volta delle fantasie e delle abitudini infantili esattamente uguali a quelle di un nevrotico, eppure non tutti vi si fissano; di conseguenza, non tutti diventano in seguito nevrotici. Il segreto etiologico della nevrosi, quindi, non sta nella semplice esistenza delle fantasie infantili, ma nella cosiddetta fissazione. Le numerose affermazioni dei nevrotici quando parlano dell'esistenza di fantasie sessuali infantili sono prive di valore, per quanto essi vi attribuiscano un'importanza etiologica; possiamo infatti trovare le stesse fantasie anche negli individui normali, e questo è un fatto che ho dimostrato più volte. Solo la fissazione sembra essere un dato caratteristico.

Quindi è necessario esigere la prova della realtà di questa fissazione infantile. Freud, un empirico sincero e attento, non avrebbe mai sviluppato questa ipotesi se non avesse avuto dei motivi sufficienti per farlo.

Questi motivi sono forniti dai risultati delle indagini psicoanalitiche sull'inconscio. La psicoanalisi rivela la presenza inconscia di molte fantasie che hanno le loro radici nel passato infantile e che sono raggruppate intorno al cosiddetto «complesso nucleare», che negli uomini può essere indicato come complesso di Edipo e nelle donne come complesso di Elettra: definizioni queste, che danno esattamente la misura del loro significato. Il tragico destino di Edipo e di Elettra si svolgeva entro gli stretti confini della famiglia, proprio come il destino di un bambino si risolve interamente nel quadro dei suoi rapporti familiari. Di conseguenza il complesso di Edipo, come quello di Elettra, è la caratteristica di un conflitto infantile. L'esistenza di questi conflitti durante l'infanzia è stata dimostrata per mezzo della ricerca psicoanalitica. Si suppone che all'interno di questo complesso debba essere avvenuta la fissazione. L'esistenza e la effettiva potenza del complesso nucleare nell'inconscio dei nevrotici portò Freud a formulare l'ipotesi che il nevrotico abbia una fissazione particolare o attaccamento ad esso. Non è la semplice esistenza di questo complesso — perché ognuno di noi lo ha nell'inconscio — ma il fortissimo attaccamento ad esso che è tipico del nevrotico. Egli è molto più influenzato da questo complesso di quanto non lo sia una persona normale; molti esempi che ci confermano questo si possono trovare in tutte le storie cliniche relative a casi di soggetti nevrotici sottoposti a trattamento psicoanalitico.

Dobbiamo ammettere che questa spiegazione è molto plausibile, perché l'ipotesi della fissazione si basa sul fatto, molto conosciuto, che certi periodi della vita umana, e in particolar modo l'infanzia, qualche volta lasciano delle tracce determinanti che sono indelebili. L'unico interrogativo è se questa spiegazione sia sufficiente o no. Se esaminiamo dei soggetti che sono nevrotici sin dall'infanzia questa spiegazione sembra confermata, perché immaginiamo il complesso come un agente che continua ad esercitare un potente influsso per tutta la vita. Ma se prendiamo dei casi di soggetti che non hanno mai mostrato tracce notevoli di sintomi nevrotici fino al momento in cui la malattia si è manifestata, e ce ne sono molti, questa spiegazione viene messa in dubbio. Se non c'è qualcosa come la fissazione, non è possibile avanzare una nuova ipotesi, dicendo che a volte, in certi periodi della vita, la fissazione si indebolisce e diventa inefficace, mentre in altri si rafforza improvvisamente. In questi casi scopriamo che il complesso nucleare è tanto attivo e forte quanto in quelli che mettono in evidenza la teoria della fissazione: qui è giustificabile un atteggiamento critico, specialmente quando consideriamo l'osservazione più volte ripetuta che il momento dell'insorgere della nevrosi non è casuale, anzi di regola è molto più critico. Normalmente è il momento in cui sorge la richiesta di un nuovo assetto psicologico, cioè un nuovo adattamento. Tali frangenti facilitano l'insorgere della nevrosi, come è noto ad ogni neurologo esperto.

Il fatto mi sembra estremamente significativo. Se la fissazione fosse in effetti reale, dovremmo aspettarci di riscontrare la sua influenza in modo costante; in altre parole, una nevrosi che duri tutta una vita. Ovviamente questo non è possibile. La determinazione psicologica di una nevrosi è dovuta soltanto in parte ad una prima disposizione infantile; deve essere dovuta anche a qualche causa attiva, nel presente: e se esaminiamo attentamente il genere delle fantasie infantili e gli eventi ai quali il nevrotico è attaccato, saremo obbligati ad ammettere che non c'è nulla in queste che abbia un carattere tipicamente nevrotico. Gli individui normali hanno più o meno le stesse esperienze intime ed esteriori, e possono attaccarsi ad esse in modo stupefacente, senza per questo sviluppare una nevrosi. I popoli primitivi, in particolar modo, sembrano essere molto legati alla propria infanzia. Sembra ora che questa cosiddetta fissazione sia un fenomeno normale, e che l'importanza dell'infanzia per il successivo sviluppo mentale sia naturale e prevalga ovunque. Il fatto che un nevrotico sembri essere notevolmente influenzato dai suoi conflitti infantili mostra che la questione non riguarda tanto la fissazione, quanto l'uso peculiare del proprio passato infantile. Sembra che egli in certo modo ne esageri l'importanza e gli attribuisca un valore completamente artificiale. Anche Adler, un allievo di Freud, esprime un parere molto simile.

Sarebbe ingiusto dire che Freud si è limitato all'ipotesi della fissazione; si era anche reso conto del problema che ho appena discusso. Chiamò questo fenomeno di riattivazione o di esagerazione secondaria delle reminiscenze infantili, «regressione». Ma, secondo Freud, sembra che i desideri incestuosi del complesso di Edipo siano la vera causa della regressione alle fantasie infantili. Se questo fosse vero, dovremmo postulare un'inattesa intensità delle tendenze incestuose primarie. Questa opinione portò Freud al suo recente paragone tra ciò che chiama la «barriera psicologica dell'incesto» nei bambini e il «tabù dell'incesto» negli uomini primitivi. Suppone che il desiderio per un vero incesto portò gli uomini primitivi a creare delle leggi contro di esso; mentre io credo che il tabù dell'incesto sia soltanto uno dei tanti tabù che esistono, e che sia dovuto al tipico timore superstizioso dell'uomo primitivo — un timore che esiste indipendentemente dall'incesto e dalla sua proibizione. Riesco ad attribuire soltanto una scarsa potenza sia ai desideri incestuosi dell'infanzia sia a quelli dell'umanità primitiva. Non ho ancora cercato la ragione della regressione nel desiderio incestuoso primario né in ogni altro desiderio sessuale. Devo ammettere che un'etiologia puramente sessuale della nevrosi mi sembra troppo ristretta. Baso questa critica non su un pregiudizio contro la sessualità ma su un'intima conoscenza dell'intero problema.

Quindi suggerisco che la teoria psicoanalitica debba essere liberata dal punto di vista esclusivamente sessuale. Al suo posto preferirei introdurre un punto di vista di energia nella psicologia della nevrosi.

Tutti i fenomeni psicologici possono essere considerati come manifestazioni di energia, nello stesso modo in cui tutti i fenomeni fisici sono stati considerati manifestazioni di energia sin da quando Robert Mayer scoprì la legge della conservazione dell'energia. Soggettivamente e psicologicamente, questa energia viene immaginata come desiderio. Io lo chiamo libido, usando la parola nel suo senso originale, che non è soltanto sessuale. Sallustio la usa esattamente in questo senso quando dice: «Traggono più piacere dalle belle armi e dai cavalli da guerra che dalle prostitute e dalle orge»

Da un punto di vista più ampio, la libido può essere considerata come energia vitale in generale, o come dice Bergson élan vital. La prima manifestazione di questa energia nel bambino è l'istinto per la nutrizione. A partire da questo stadio la libido si sviluppa lentamente, attraverso numerose varianti dell'atto di succhiare, in una funzione sessuale: in questo contesto non considero l'atto di succhiare come una funzione sessuale. Certamente il piacere di succhiare non può essere considerato un piacere sessuale, ma è riconducibile al piacere della nutrizione, perché non è stato dimostrato da nessuna parte che il piacere sia soltanto sessuale. Questo processo di sviluppo continua nella vita adulta ed è accompagnato dall'adattamento costantemente crescente al mondo esterno. Ogni volta che la libido, nel processo di adattamento, incontra un ostacolo, avviene un'accumulazione che normalmente dà origine ad uno sforzo raddoppiato che serve a superare l'ostacolo. Ma se l'ostacolo sembra insormontabile, e l'individuo abbandona il compito di superarlo, la libido immagazzinata subisce una regressione. Invece di essere impiegata per un doppio sforzo, la libido rinunzia al suo compito e ritorna ad un primo e più primitivo modo di adattamento.

I migliori esempi di tali regressioni si trovano nei casi degli isterici quando una delusione amorosa o il fallimento di un matrimonio hanno affrettato l'insorgere della nevrosi. Ci troviamo di fronte a quei ben noti disordini nella digestione, la perdita dell'appetito, sintomi dispeptici di tutti i tipi, ecc.: in questi casi la libido regressiva, ritirandosi dal compito dell'adattamento, guadagna un ascendente sulla funzione nutritiva e produce dei disturbi notevoli. Effetti simili si possono osservare anche nei casi dove non c'è nessun disturbo della funzione nutritiva ma anzi una ripresa regressiva delle reminiscenze del lontano passato. Troviamo una riattivazione dell'imago dei genitori e del complesso di Edipo. Qui gli eventi della prima infanzia — che prima non erano importanti — lo diventano improvvisamente. Sono stati regressivamente riattivati. Rimuoviamo l'ostacolo dal sentiero della vita e tutto questo sistema di fantasie infantili crolla immediatamente e diventa inattivo e inefficace come prima. Questa opinione, incidentalmente, si avvicina molto all'ipotesi di Janet dove le «parties supérieures» di una funzione vengono sostituite dalle sue «parties inférieures». Vorrei anche ricordarvi il concetto di Claparède dei sintomi nevrotici come riflessi emozionali di una natura primitiva.

Per queste ragioni non ricerco più la causa di una nevrosi nel passato, ma nel presente. Mi chiedo: Qual'è il compito necessario che il paziente non vuole compiere? La lunga lista delle sue fantasie infantili non mi dà una spiegazione etiologica sufficiente; perché so che queste fantasie sono soltanto ingrandite dalla libido regressiva, che non ha trovato il suo sbocco naturale in una forma di adattamento alle esigenze della vita.

Ci si chiederà come mai il nevrotico abbia questa tendenza particolare a non compiere i doveri necessari. Lasciatemi dire che nessuna creatura vivente si adatta facilmente e senza scosse ad una nuova condizione.

Una persona sensibile e alquanto instabile, come è sempre un nevrotico, incontrerà delle difficoltà particolari e forse dei compiti più insoliti che non una persona normale, che deve soltanto seguire il sentiero già tracciato di una esistenza ordinaria. Per un nevrotico non esiste un modo di vita preciso, perché i suoi scopi e i suoi compiti sono di carattere estremamente individuale. Tenta di seguire, più o meno senza controllo cosciente, la strada della gente normale, senza comprendere che la sua stessa natura critica e molto diversa esige da lui sforzi maggiori di quelli che si richiedono alle persone normali. Ci sono dei nevrotici che hanno mostrato la loro altissima sensibilità e la loro resistenza all'adattamento nella prima settimana di vita, nelle difficoltà che incontravano nel prendere il seno materno, e nelle loro reazioni nervose eccessive, ecc. Per questa particolarità nella predisposizione alla nevrosi sarà sempre impossibile trovare un'etiologia psicologica, perché è anteriore a tutta la psicologia. Questa predisposizione — potete chiamarla «sensibilità congenita» o come vi piace — è la causa delle prime resistenze all'adattamento. Poiché la via all'adattamento è bloccata, l'energia biologica che chiamiamo libido non trova il suo sbocco o la sua attività appropriata, con il risultato che una giusta forma di adattamento viene sostituita da una forma anormale o primitiva.

Nelle nevrosi parliamo di un atteggiamento infantile o di una predominanza delle fantasie e dei desideri infantili. Per quanto riguarda le impressioni infantili, poiché sappiamo che rivestono tanta importanza nelle persone normali, supponiamo che siano ugualmente signifìcative nelle nevrosi; esse non hanno tuttavia nessuna importanza etiologica; sono semplicemente delle reazioni, in quanto fenomeni secondari e regressivi. È perfettamente vero che, come dice Freud, le fantasie infantili determinano la forma e il successivo sviluppo della nevrosi, ma questo non è un'etiologia. Anche quando troviamo delle fantasie sessuali perverse delle quali si può dimostrare l'esistenza nell'infanzia, non possiamo considerarle di importanza etiologica. Una nevrosi non è realmente provocata dalle fantasie sessuali infantili, e bisogna dire la stessa cosa per l'erotismo della fantasia nevrotica in generale. Non è un fenomeno primario basato su una predisposizione sessuale pervertita, ma semplicemente un fenomeno secondario e una conseguenza dell'incapacità di applicare la libido immagazzinata in modo giusto. Mi rendo conto che questa sia un'idea molto vecchia, ma ciò non le impedisce di essere vera. Il fatto che il paziente stesso creda frequentemente che le sue fantasie infantili siano la causa della sua nevrosi non prova né che abbia ragione nel crederlo, né che una teoria basata su questa convinzione sia giusta. Può sembrare che sia così; e devo ammettere che moltissimi casi hanno questa apparenza. In ogni caso è perfettamente facile comprendere come Freud sia arrivato a questa conclusione. Chiunque abbia un'esperienza psicoanalitica sarà d'accordo con me.

Per riassumere: non riesco a vedere la vera etiologia della nevrosi nelle varie manifestazioni dello sviluppo e delle fantasie sessuali infantili alla quale danno origine. Il fatto che queste fantasie siano ingigantite nella nevrosi e che occupino il primo piano è una conseguenza dell'energia immagazzinata o libido. Il disturbo psicologico nella nevrosi, e la nevrosi stessa, possono essere immaginati come un atto di adattamento fallito. Questa espressione potrebbe riconciliare certe opinioni di Janet con quella di Freud secondo cui una nevrosi è, in un certo senso, un tentativo di auto-cura — opinione che può essere ed è stata applicata a molte altre malattie.

Qui sorge il problema se è ancora consigliabile portare alla luce tutte le fantasie del paziente attraverso l'analisi, se ora le consideriamo di nessuna importanza etiologica. Fino ad ora la psicoanalisi ha diffuso l'idea di districare queste fantasie perché venivano considerate etiologicamente importanti. Questa mia differente opi-nione sulla teoria della nevrosi non colpisce il procedimento psicoanalitico. La tecnica rimane la stessa. Sebbene non immaginiamo più di essere in grado di dissotterrare l'ultima radice della malattia, dobbiamo sradicare queste fantasie sessuali perché l'energia di cui ha bisogno il paziente per la sua salute, cioè, per il suo adattamento, è attaccata a loro. Per mezzo della psicoanalisi la connessione tra la sua mente conscia e la libido nell'inconscio viene ristabilita. Così la libido viene portata sotto il controllo della volontà. Soltanto in questo modo l'energia distaccata diventa ancora disponibile per il compimento dei doveri necessari della vita. Considerata da questo punto di vista, la psicoanalisi non appare più come una semplice riduzione dell'individuo ai suoi desideri sessuali primitivi, ma, se giustamente interpretata, come un compito altamente morale di immenso valore educativo.

Prefazione alla “Raccolta di scritti sulla Psicologia analitica”
(1916)

PRIMA EDIZIONE

Questo volume contiene una selezione di articoli e di saggi sulla psicologia analitica scritti ad intervalli durante gli scorsi quattordici anni. Questi anni hanno visto lo sviluppo di una nuova disciplina e, come accade sempre in questi casi, hanno implicato molti cambiamenti di opinioni, concezioni e formulazioni.

Non intendo presentare in questo libro i concetti fondamentali della psicologia analitica. Il volume, comunque, getta una luce su una certa linea di sviluppo che è particolarmente caratteristica della scuola di psicoanalisi di Zurigo.

Come si sa, il merito della scoperta di un nuovo metodo analitico valido per la psicologia in generale, appartiene al Professor Freud di Vienna. Le sue idee originarie hanno subito molte modifiche importanti, alcune dovute al lavoro che abbiamo svolto a Zurigo, malgrado il fatto che egli stesso sia ben lungi dall'essere d'accordo con le opinioni di questa scuola.

Non posso spiegare in questa sede le differenze fondamentali delle due scuole ma vorrei menzionarne alcune. La scuola viennese adotta un punto di vista esclusivamente sessuale mentre quello della scuola di Zurigo è simbolistico. La scuola viennese interpreta il simbolo psicologico in modo semiotico, come un segno o un simbolo di certi processi psico-sessuali primitivi. Il suo metodo è analitico e causale. La scuola di Zurigo riconosce la possibilità scientifica di tale concezione ma nega la sua validità esclusiva, perché non interpreta soltanto semioticamente il simbolo psicologico ma lo interpreta anche simbolisticamente, cioè gli attribuisce un valore effettivo.

Il valore del simbolo non dipende semplicemente da cause storiche; la sua importanza principale consiste nel suo significato rispetto al presente reale e al futuro, nei loro aspetti psicologici. Secondo la scuola di Zurigo il simbolo non è semplicemente un segno di qualche fattore represso e nascosto, ma è anche un tentativo per individuare e per indicare la strada all'ulteriore sviluppo psicologico dell'individuo. Così aggiungiamo un significato prospettico al valore retrospettivo del simbolo.

Il metodo della scuola di Zurigo, quindi, non è soltanto analitico e causale, ma anche sintetico e prospettico, riconoscendo il fatto che la mente umana sia caratterizzata da fines (scopi) oltre che da causae. Questo dato merita un particolare rilievo, perché esistono due tipi di psicologia; il primo segue il principio dell'edonismo, l'altro il principio della potenza. Il complemento filosofico del primo tipo è il materialismo scientifico e quello del secondo è la filosofia di Nietzsche. Il principio della teoria freudiana è l'edonismo, mentre la teoria di Adler (uno dei primi allievi personali di Freud) è basata sul principio di potenza.

La scuola di Zurigo, riconoscendo l'esistenza di questi due tipi (messi in rilievo anche dal Professor William James), considera le opinioni di Freud e di Adler unilaterali e valide soltanto entro i limiti del loro tipo corrispondente. I due principi coesistono in ogni individuo sebbene non in proporzioni uguali.

Così è ovvio che ogni simbolo psicologico contiene due aspetti e che deve essere interpretato secondo due principi. Freud e Adler lo interpretano in modo analitico e causale, riducendolo all'infantile e al primitivo. Così, secondo Freud, il concetto di «scopo» è la realizzazione del desiderio, mentre secondo Adler è l'usurpazione del potere. Nella loro pratica analitica i due autori seguono un procedimento che porta alla luce soltanto gli scopi infantili e volgarmente egoistici.

La scuola di Zurigo è convinta che entro i limiti di un atteggiamento mentale malato la psicologia sia come la descrivono Freud e Adler. In effetti, è proprio a causa di tale psicologia infantile e assurda che l'individuo si trova in uno stato di intima dissociazione e quindi nevrotico. La scuola di Zurigo, dunque, d'accordo con loro su questo punto, riduce il simbolo psicologico (i prodotti della fantasia del paziente) anche al suo fondamentale edonismo infantile o desiderio infantile di potenza. Freud e Adler, però, si contentano del risultato della pura riduzione; e questo si accorda con il loro biologismo e il loro naturalismo scientifico.

Sorge qui un interrogativo molto importante. L'uomo può obbedire agli impulsi fondamentali e primitivi della sua natura senza offendere gravemente se stesso e gli altri esseri umani? Non può affermare illimitatamente né il suo desiderio sessuale né il suo desiderio di potenza di fronte a limiti che sono molto restrittivi. La scuola di Zurigo ha in mente i risultati finali dell'analisi, e considera i pensieri fondamentali e gli impulsi dell'inconscio come simboli indicativi di una linea precisa dello sviluppo futuro.

Dobbiamo ammettere, comunque, che non c'è nessuna giustificazione scientifica per tale procedimento, perché la nostra scienza contemporanea si basa interamente sulla causalità. Ma la causalità è soltanto un principio, e la psicologia non può esaurirsi soltanto nei metodi causali. Accanto a questa controversa questione filosofica ne abbiamo un'altra, di valore molto più grande a favore della nostra ipotesi, cioè quella della necessità vitale. È impossibile vivere secondo tutte le sollecitazioni dell'edonismo infantile o secondo un desiderio infantile di potenza. Se si deve dare un posto a questi desideri si devono anche assumere simbolicamente. Fuori dell'applicazione simbolica degli orientamenti infantili si sviluppa un atteggiamento che può essere definito filosofico o religioso, e questi termini caratterizzano a sufficienza la linea dello sviluppo futuro dell'individuo. L'individuo non è propriamente un complesso statico ed immutabile di fattori psicologici; è anzi un'entità estremamente variabile. Con la riduzione esclusiva alle cause vengono rafforzati gli orientamenti primitivi di una personalità; questo è utile soltanto quando queste tendenze primitive vengono equilibrate dal riconoscimento del loro valore simbolico. L'analisi e la riduzione portano alla verità causale; questo fatto per se stesso non ci aiuta a vivere, ma ci induce soltanto alla rassegnazione e alla disperazione. D'altra parte, il riconoscimento del valore intrinseco di un simbolo porta a una verità costruttiva e ci aiuta a vivere; ispira la fiducia e inoltre la possibilità dello sviluppo futuro.

L'importanza funzionale del simbolo è chiaramente mostrata nella storia della civiltà. Per migliaia di anni il simbolo religioso si è dimostrato un mezzo efficacissimo per l'educazione morale del genere umano. Soltanto una mente con dei pregiudizi potrebbe negare un fatto così ovvio. I valori reali non possono prendere il posto del simbolo; soltanto dei simboli nuovi e più efficaci possono sostituire quelli antiquati e lisi che hanno perduto la loro efficacia attraverso il progresso dell'analisi intellettuale e della comprensione. Lo sviluppo futuro dell'individuo può essere effettuato soltanto per mezzo di simboli che rappresentino qualcosa di molto avanzato rispetto a lui stesso, e dei quali non può afferrare completamente i significati intellettuali. L'inconscio individuale produce tali simboli, che sono del massimo valore per lo sviluppo morale della personalità.

L'uomo quasi invariabilmente ha delle opinioni filosofiche e religiose che riguardano il significato del mondo e della sua stessa vita. Ci sono alcune persone orgogliose di non averne. Ma queste sono eccezioni al di fuori del sentiero comune del genere umano; non hanno la funzione importante che si è dimostrata indispensabile alla psiche umana.

In tali casi troviamo nell'inconscio, invece del simbolismo moderno, un'idea antiquata e arcaica del mondo e della vita. Se una funzione psicologica necessaria non è rappresentata nella sfera della coscienza, esiste nell'inconscio sotto forma di un prototipo arcaico ed embrionale.

Questo breve résumé mostra al lettore ciò che può aspettarsi di trovare in questa raccolta di scritti. I saggi raccolti sono delle stazioni sulla strada delle opinioni più generali sviluppate in questa prefazione.

Küsnacht/Zurigo, Gennaio 1916

SECONDA EDIZIONE

D'accordo con il mio stimato collaboratore, il Dottor C. E. Long, ho apportato alcune aggiunte alla seconda edizione di questo libro. In particolare si deve notare l'aggiunta del capitolo su Il concetto dell'inconscio: è il testo di una conferenza che ho tenuto all'inizio del 1916 alla Società per la Psicologia Analitica di Zurigo; esso fornisce un quadro generale di un problema importantissimo nella pratica analitica, cioè la relazione dell'io al non io psicologico. Il Capitolo XIV, La psicologia dei processi inconsci, è stato riesaminato a fondo: vi ho incorporato un articolo che descrive i risultati delle ricerche più recenti.

Secondo il mio abituale metodo di lavoro, le mie descrizioni sono generalizzate il più possibile. È mia abitudine nella pratica quotidiana limitarmi per qualche tempo a studiare il materiale umano. Dai dati raccolti costruisco poi una formula sintetica, il più generale possibile, ottenendone un'opinione che applico nel lavoro pratico fin quando non viene confermata, modificata o anche abbandonata. Se viene confermata la pubblico come punto di vista generale senza dare il materiale empirico. Quindi prego il lettore di non considerare le idee che presento come pure invenzioni del mio cervello: in realtà, sono il risultato di una vasta esperienza e di una matura riflessione.

Queste aggiunte daranno al lettore della seconda edizione la possibilità di familiarizzarsi con le ultime teorie della scuola di Zurigo.

Per quanto riguarda la critica che ha incontrato la prima edizione di quest'opera, sono stato molto lieto di scoprire che i miei scritti sono stati accolti con una maggiore larghezza di vedute dai critici inglesi che non da quelli tedeschi, che si sono mantenuti in un silenzio pieno di disprezzo. Sono particolarmente grato al Dottor Agnes Savill per la sua critica straordinariamente comprensiva nel «Medicai Press». Ringrazio anche il Dottor T. W. Mitchell per l'esauriente esame nel «Proceedings of the Society for Psychical Research». Questo critico trova da ridire sulla mia eresia riguardo alla casualità. Giudica che io stia andando su una strada pericolosa, perché non scientifica, quando metto in dubbio l'unica validità del punto di vista causale nella psicologia. Potrei essere d'accordo con lui, ma secondo me è la mente umana che ci costringe a seguire un'idea finalistica. Non si può mettere in dubbio il fatto che, psicologicamente parlando, viviamo giorno per giorno sia secondo il principio di uno scopo o di un fine diretto sia secondo quello della causalità. Una teoria psicologica deve necessariamente adattarsi a questo fatto.

Non si può dare una spiegazione cabalistica a ciò che è chiaramente diretto verso una meta, altrimenti dovremmo essere portati alla conclusione espressa nel famoso dictum di Moleschott: «Man ist was er isst» (L'uomo è ciò che mangia). Questa afferma la relazione inevitabile e immutabile di una serie di eventi: a, b, c, z. Poiché questa relazione è fissa, e secondo il punto di vista causale lo deve essere necessariamente, sembrava logicamente che l'ordine potesse essere invertito. La finalità è anche un punto di vista, ed è empiricamente giustificata dall'esistenza della serie di avvenimenti nei quali la connessione causale è in effetti evidente ma il loro significato diventa intellegibile soltanto in termini di prodotti finali (effetti finali). La vita di tutti i giorni ne fornisce il migliore esempio. La spiegazione causale deve essere meccanicistica se non dobbiamo postulare come causa prima un'entità metafisica. Per esempio, se adottiamo la teoria sessuale di Freud e assegniamo una importanza psicologicamente primaria alla funzione delle glandole genitali, il cervello viene considerato come un'appendice delle glandole genitali. Se ci avviciniamo al concetto della scuola viennese della sessualità e della sua vaga onnipotenza, e lo riduciamo in modo rigorosamente scientifico alla sua base fisiologica, arriveremo alla causa prima, secondo la quale la vita psichica si risolve per la maggior parte (o per la parte più importante) nella tensione e nella distensione delle glandole genitali. Supponiamo per un momento che questa spiegazione meccanicistica sia «vera»: sarebbe una verità incredibilmente deprimente e di portata troppo rigidamente limitata; vorrebbe dire che le ghiandole genitali non possono funzionare senza un adeguato nutrimento, deducendo che la sessualità è una funzione sussidiaria della nutrizione.

Questa verità forma comunque un capitolo importante nella biologia delle forme più elementari della vita animale.

Ma se desideriamo lavorare in modo veramente psicologico dovremo conoscere il significato dei fenomeni psicologici. Dopo aver appreso di quali tipi di acciaio sono fatte le parti di una locomotiva, da quali officine e da quali miniere provengono, non sappiamo realmente nulla sulla funzione della locomotiva, cioè del suo significato. Ma la «funzione» così come viene concepita dalla scienza moderna, non è affatto un concetto esclusivamente causale; è un concetto piuttosto finalistico o «teleologico». Perché è impossibile considerare la psiche soltanto da un punto di vista causale; siamo costretti a considerarla anche da un punto di vista finalistico. Come nota il dottor Mitchell, è impossibile pensare che la determinazione causale abbia nello stesso tempo un riferimento finalistico: questa sarebbe una contraddizione ovvia. Non occorre d'altra parte che la teoria della conoscenza rimanga ad un livello pre-kantiano: si sa molto bene che Kant mostrò chiaramente che i punti di vista meccanicistici e teleologici non sono dei principi costituenti (obiettivi) — come sembra, qualità dell'oggetto — ma che sono semplicemente principi di pensiero regolatori (soggettivi) e, come tali, non sono reciprocamente incoerenti. Per esempio, posso facilmente concepire le seguenti tesi e antitesi:

Tesi: Tutto è entrato nell'esistenza secondo le leggi meccanicistiche.

Antitesi: Qualche cosa non è entrato nell'esistenza soltanto secondo le leggi meccanicistiche.

Kant dice su questo punto: La ragione non può provare nessuno di questi principi perché a priori le leggi della natura puramente empiriche non possono darci un principio determinativo riguardo alla potenzialità degli avvenimenti.

In realtà, la fisica moderna si è necessariamente convertita dall'idea del puro meccanicismo al concetto finalistico della conservazione dell'energia, perché la spiegazione meccanicistica riconosce soltanto i processi reversibili, mentre la verità effettiva è che i processi della natura sono irreversibili. Questo fatto porta al concetto di un'energia che tenda verso il sollievo della tensione e di conseguenza verso uno stato finale definitivo.

Ovviamente, considero necessari questi due punti di vista, sia quello causalistico sia quello finalistico, ma nello stesso tempo vorrei sottolineare che dall'epoca di Kant siamo arrivati a comprendere che questi punti di vista non sono antagonistici, nella misura in cui vengano considerati come principi regolatori del pensiero e non come principi costituenti del processo della natura stessa.

Nel parlare della revisione di questo libro devo dire qualcosa che non mi sembra esatto. Una volta fui colpito dal fatto che certi critici non riescono a distinguere tra la spiegazione teorica data dall'autore e le idee fantastiche del paziente. Uno dei miei critici cade in questa confusione quando discute Sull'importanza dei sogni dei numeri. Le associazioni alle citazioni della Bibbia in questo capitolo, come può percepire ogni lettore attento, non sono delle mie spiegazioni arbitrarie, ma una conglomerazione criptomne- sica, derivata non dal mio cervello ma da quello del paziente. Naturalmente non è difficile vedere che questa conglomerazione di numeri corrisponde esattamente alla funzione psicologicamente inconscia dalla quale ha origine tutto il misticismo dei numeri, pitagorica. cabalistica e così via, che risale ad epoche molto lontane.

Sono grato ai miei attenti revisori, e desidero esprimere i miei ringraziamenti anche alla Signora Harold F. McCormick per il generoso aiuto prestato nella rea-lizzazione di questo libro.

Giugno 1917

L'IMPORTANZA DEL PADRE NEL DESTINO DELL'INDIVIDUO
(1909)

I Destini guidano i volenterosi, ma trascinano i riluttanti. Cleanthes

Freud ha messo in rilievo che la relazione emotiva del bambino con i genitori, e in particolar modo con il padre, è di importanza decisiva per il contenuto di ogni nevrosi futura. Questa relazione in effetti è il canale infantile lungo il quale rifluisce la libido1 quando incontra degli ostacoli negli anni successivi, riattivando così i contenuti psichici dell'infanzia da lungo tempo dimenticati. Succede sempre così quando ci ritiriamo davanti a un ostacolo troppo grande, cioè davanti alla minaccia di una delusione profonda, o davanti al rischio di una decisione troppo importante. L'energia immagazzinata rifluisce e i vecchi letti del fiume, gli antiquati sistemi del passato, vengono riempiti di nuovo. Un uomo deluso in amore ricade, per sostituzione, su alcune amicizie sentimentali, sulla masturbazione o su una falsa religiosità; se è un nevrotico regredisce ancora di più verso le relazioni dell'infanzia che non ha mai abbandonato del tutto, e verso le quali anche la persona normale è vincolata da più di una catena — la relazione con il padre e con la madre.

Ogni analisi eseguita completamente mostra in modo più o meno chiaro questa regressione. Una particolarità che spicca nelle opere di Freud è che la relazione con il padre sembra possedere un'importanza del tutto particolare.

L'importanza del padre nella formazione della psiche del bambino si può scoprire anche in un altro campo, lo studio della famiglia. Le ultime ricerche mostrano l'influenza predominante del carattere del padre in una famiglia, influenza che spesso dura per secoli. Sembra che la madre giochi un ruolo meno importante. Se questo è vero per l'ereditarietà, possiamo aspettarci che sia vero anche per le influenze psicologiche che provengono dal padre. Queste esperienze e quelle ottenute in particolare in un'analisi eseguita congiuntamente con il Dott. Otto Gross mi hanno convinto dell'esattezza di questa opinione. Il campo di questo problema è stato ampliato dalle ricerche della mia allieva, la Dottoressa Emma Fürst, sulla ras-somiglianza del tipo di reazione entro le famiglie la dottoressa Fürst condusse dei tests di associazione su 100 persone provenienti da 24 famiglie: di questo vasto materiale, sono stati fino ad ora elaborati e pubblicati soltanto i dati relativi a 9 famiglie e a 37 persone (tutte poco istruite), ma i calcoli ci permettono già alcune conclusioni preziose. Le associazioni furono classificate sullo schema di Kraepelin-Aschaf- fenburg così come è stato semplificato e modificato da me, e la differenza fu poi calcolata tra ogni gruppo di qualità in un dato soggetto e il gruppo corrispondente in tutti gli altri soggetti. Otteniamo così delle cifre medie delle differenze nel tipo di reazione.

Uomini senza parenti     5,9

Donne senza parenti      6,0

Uomini con parenti        4,1

Donne con parenti         3,8

I parenti, in particolare se sono donne, hanno quindi in media un tipo di reazione simile. Questo significa che l'atteggiamento psicologico dei parenti differisce soltanto leggermente. L'esame delle varie relazioni porta i seguenti risultati:

La differenza media per marito e moglie è del 4,7% Ma il valore di dispersione per questa cifra media è il 3,7, che è molto alto, e che indica che il valore medio del 4,7 è composto da una gamma molto vasta di cifre: ci sono delle coppie sposate con una grande rassomiglianza nel tipo di reazione e altre che ne hanno di meno.

Nell'insieme, padri e figli maschi, madri e figlie, sono molto vicini:

Differenza per i padri e per i figli maschi: 3,1

Differenza per le madri e le figlie:            3,0

Tranne pochi casi di coppie sposate (dove la differenza scendeva all'1,4), queste sono tra le cifre più basse. La Fürst ebbe anche un caso in cui una madre di 45 anni e la figlia di 16 anni differivano soltanto dello 0,5. Ma fu proprio in questo caso che la madre e la figlia differivano dal tipo di reazione del padre dell'11,8. Il padre era un uomo volgare, stupido e ubriacone; la madre si dedicava alla Christian Science. Conformemente a tutto questo, madre e figlia mostrarono un tipo di reazione eccessivamente soggettivo, che nella mia esperienza è un segno importante di una relazione conflittuale con l'oggetto. I tipi di valore-predicato mostrano un'eccessiva intensità di sentimento e tradiscono così un desiderio, non ammesso ma tuttavia trasparente, di evocare sentimenti corri-spondenti nel ricercatore. Questa opinione si accorda con il fatto che nel materiale della Fürst il numero dei valori-predicati aumenta con l'età del soggetto.

La somiglianza del. tipo di reazione nei bambini e nei genitori fornisce un argomento sul quale pensare. Perché l'esperimento di associazione non è altro che un piccolo segmento della vita psicologica dell'uomo, e la vita di tutti i giorni è in fondo un esperimento di associazione più vasto e più variato, in teoria noi dovremmo reagire nell'uno come reagiamo nell'altra. Questa verità è ovvia, ma richiede ancora qualche riflessione e qualche limitazione. Prendiamo il caso della madre quarantacinquenne e di una figlia sedicenne: l'altissimo tipo di valore-predicato senza dubbio è il sedimento di tutta una vita di speranze e di desideri delusi: in questo caso non ci si può minimamente sorprendere per il tipo di valor,e-predicato. Ma la figlia sedicenne non aveva ancora vissuto realmente; non era ancora nemmeno sposata eppure reagì come sua madre e come se portasse dentro di sé il segno di infinite delusioni. Aveva l'atteggiamento della madre e in questa misura si era identificata con la madre. L'atteggiamento della madre era spiegato dalla sua relazione col padre; ma la figlia non era sposata con il padre e quindi questo atteggiamento era inutile. Era semplicemente trasportata dalle influenze ambientali e in seguito tentò di adattarsi al mondo sotto l'influenza dei problemi della sua famiglia. Nella misura in cui un matrimonio è sbagliato, sarà sbagliato anche l'atteggiamento che ne risulta. Nella sua vita futura la ragazza dovrà superare gli ostacoli del suo milieu familiare; se non lo farà, soccomberà al destino al quale l'ha predisposta il suo atteggiamento.

Naturalmente questo destino ha molte possibilità. Il rendere plausibili i problemi della famiglia e lo sviluppo del carattere negativo dei genitori può aver luogo all'interno, inosservato da tutti, sotto forma di inibizioni e di conflitti che lei stessa non comprenderà. Oppure, durante la crescita, entrerà in conflitto con il mondo reale, non si adatterà a nessun luogo, finché il destino, con un colpo dietro l'altro, le aprirà gradualmente gli occhi sulle sue qualità infantili e sul suo disadattamento. L'origine dei disturbi infantili di adattamento è naturalmente la relazione emotiva con i genitori. È una specie di contagio psichico, provocato, come sappiamo, non da alcune verità logiche ma dagli affetti e dalle loro manifestazioni fisiche5. Nel periodo più formativo, tra il primo e il quinto anno, tutte le caratteristiche essenziali, che si adattano esattamente al modello dei genitori, sono già sviluppate, perché l'esperienza ci insegna che il primo segno del conflitto tra la rimozione e la libido (Freud) dell'individuo avviene di regola prima del quinto anno.

Vorrei dimostrare con l'aiuto della storia di alcuni casi, come la costellazione dei genitori impedisca l'adattamento del bambino; sarà sufficiente presentare soltanto gli avvenimenti principali, quelli cioè legati alla sessualità.

I CASO

Una donna di 55 anni: ben conservata, vestita poveramente ma con cura, con una certa eleganza, in nero; capelli ben pettinati; maniere cortesi, piuttosto affettate, disturbi nel parlare, molto devota. La paziente poteva essere la moglie di un piccolo impiegato o di un negoziante. Ma informò, arrossendo e abbassando gli occhi, che era la moglie divorziata di un semplice contadino. Era venuta in clinica per una depressione, terrori notturni, palpitazioni e contrazioni nervose alle braccia — le caratteristiche tipiche di una leggera nevrosi da climaterio. Per completare il quadro, la paziente aggiunse che soffriva di oscuri sogni di tipo ansioso; uomini che la inseguivano, animali selvaggi che l'attaccavano e così via.

La sua anamnesi iniziò con la storia della famiglia. (Per quanto mi è possibile ripeterò le sue parole). Suo padre era un bell'uomo, signorile, piuttosto corpulento e dall'aspetto imponente. Era felicemente sposato, sua moglie lo adorava. Era inoltre un uomo intelligente, un abile artigiano e aveva una posizione dignitosa. Aveva soltanto due bambine, la paziente e una sorella più grande. La sorella era la preferita della madre mentre la paziente lo era del padre. Quando aveva cinque anni, il padre morì improvvisamente di un colpo apoplettico, all'età di 42 anni. Si sentì molto sola e sentì anche che la madre e la sorella la trattavano come una Cenerentola. Avvertì abbastanza chiaramente che la madre le preferiva la sorella. La madre rimase vedova, perché il rispetto per il marito era troppo grande per permetterle di sposarsi una seconda volta. Mantenne il ricordo del marito «come un culto religioso» e insegnò alle figlie a fare altrettanto.

La sorella si sposò relativamente giovane; la paziente non si sposò finché non ebbe 24 anni. Non si era mai curata dei giovanotti perché le sembravano tutti «insipidi»; la sua attenzione si volgeva sempre verso uomini più maturi. Quando aveva circa vent'anni conobbe un uomo, «signorile», di più di quarantanni, per il quale provò molta attrazione, ma per varie ragioni la relazione fu interrotta. A ventiquattro anni conobbe un vedovo con due bambini. Questi era un bell'uomo, signorile, piuttosto corpulento e dall'aspetto imponente, come suo padre; aveva quarantaquattro anni. Lo sposò e lo rispettò enormemente. Non ebbero figli; i bambini del primo matrimonio morirono per una malattia infettiva. Dopo quattro anni di vita coniugale il marito morì di un colpo apoplettico. Per diciotto anni rimase la sua fedele vedova. Ma a quarantasei anni (proprio prima della menopausa) sentì un gran bisogno d'amore. Poiché non conosceva nessuno si rivolse ad una agenzia matrimoniale e sposò il primo venuto, un contadino di circa sessant'anni, che era già stato divorziato due volte per la sua brutalità e la sua perversità; la paziente sapeva tutto questo prima di sposarlo. Rimase con lui per cinque insopportabili anni, poi anche lei ottenne il divorzio. La nevrosi si manifestò poco più tardi.

Per il lettore con un'esperienza psicoanalitica non occorrono altre delucidazioni; il caso è troppo ovvio. Vorrei soltanto sottolineare il fatto che fino a quarantasei anni la paziente non fece altro che sopravvivere in una copia fedele del milieu della sua prima giovinezza. L'esacerbazione della sessualità al momento del climaterio la portò ad un'edizione peggiore del padre-sostituto, grazie alla quale fu privata con l'in-ganno dell'ultima fioritura della sua sessualità. La nevrosi rivela, guizzante sotto la repressione, l'erotismo della donna anziana che vuole ancora piacere (l'affettazione), ma non osa ammettere con se stessa la propria sessualità.

II CASO

Un uomo di trentatré anni, di   piccola costituzione, con un'espressione intelligente e gentile. Era imbarazzato e arrossiva spesso. Era venuto per curarsi dal «nervosismo». Disse che era molto irritabile, che si stancava facilmente, che aveva dei disturbi nervosi allo stomaco e che spesso si deprimeva profondamente tanto che qualche volta pensava al suicidio.

Prima di venire da me mi aveva mandato un'autobiografìa circostanziata, o piuttosto la storia della sua malattia, per prepararmi alla sua visita. La sua storia cominciava così: «Mio padre era un uomo grosso e forte.» Questa frase risvegliò la mia curiosità; voltai una pagina e lessi: «Quando avevo quindici anni un ragazzo di diciannove anni, piuttosto grosso, mi portò in un bosco e mi assalì indecentemente».

Le numerose lacune nella storia del paziente mi indussero a chiedergli una anamnesi più esatta, che portò le seguenti rivelazioni: Il paziente era il più piccolo di tre fratelli. Il padre, un uomo grosso dai capelli rossi, era stato in passato un soldato delle Guardie Svizzere in Vaticano; in seguito era entrato nella polizia. Era un vecchio soldato, severo e burbero, che aveva cresciuto i suoi figli con una disciplina militare; dava loro degli ordini, non li chiamava per nome ma con un fischietto. Aveva passato la sua giovinezza a Roma, e durante la sua vita allegra in quella città aveva contratto la sifilide, di cui portava ancora le conseguenze in tarda età. Amava molto raccontare le sue avventure di gioventù. Suo figlio maggiore (notevolmente più grande del paziente) era esattamente come lui, grosso, forte e con i capelli rossi. La madre era una donna malaticcia, prematuramente invecchiata. Esaurita e stanca della vita, morì a quarant'anni, quando il paziente ne aveva otto. Egli aveva mantenuto sempre un ricordo tenero e bellissimo della madre.

A scuola era sempre il capro espiatorio ed era sempre l'oggetto degli scherzi dei suoi compagni. Pensava che fosse colpa del suo dialetto particolare. In seguito, fece l'apprendista sotto un padrone severo e sgarbato, con il quale resistè per più di due anni, in condizioni così dure che tutti gli altri apprendisti erano scappati. A quindici anni avvenne l'assalto di cui abbiamo già parlato, insieme a molte altre esperienze vagamente omosessuali. Poi il destino lo mandò in Francia. Qui fece la conoscenza di un uomo del sud, spaccone e dongiovanni. Trascinò il paziente in un bordello; egli vi andò riluttante e impaurito, e scoprì di essere impotente. In seguito andò a Parigi, dove il fratello maggiore, che faceva il capomastro ed era la replica del padre, conduceva una vita dissoluta. Il paziente rimase a Parigi per molto tempo, pagato malamente e cercando di aiutare per pietà la cognata. Spesso il fratello lo portava nei bordelli, ma egli era sempre impotente.

Un giorno suo fratello gli chiese di cedergli la sua parte di eredità, 6.000 franchi. Il paziente si consultò con l'altro fratello, anch'egli a Parigi, che tentò disperatamente di dissuaderlo dal consegnare il denaro, perché sarebbe stato solamente sperperato. Tuttavia il paziente diede la sua eredità al fratello, che naturalmente lo scialacquò nel più breve tempo possibile. Anche l'altro fratello, quello che aveva tentato di dissuaderlo, perse 500 franchi. Alla mia domanda stupita sul perché aveva dato tanto a cuor leggero il denaro al fratello e senza una garanzia, rispose: «bene, me lo aveva chiesto». Non era affatto dispiaciuto per il denaro, gli avrebbe dato altri 6.000 franchi se li avesse avuti. In seguito il fratello maggiore andò completamente in rovina e la moglie divorziò da lui.

Il paziente ritornò in Svizzera e per un anno non ebbe un impiego fisso, e spesso soffrì la fame. Durante questo periodo conobbe una famiglia e ne divenne un visitatore abituale. Il marito apparteneva a una setta particolare, era un ipocrita e trascurava la famiglia. La moglie era anziana, malata e debole, e inoltre incinta. C'erano sei bambini e tutti vivevano in estrema povertà. Per questa donna il paziente provò un caldo affetto e divise con lei quel poco che possedeva. La donna gli raccontò le sue pene e gli disse di essere sicura di morire di parto. Il paziente le promise (sebbene non possedesse nulla) di prendersi cura dei bambini e di allevarli. La donna morì di parto, ma intervenne l'orfanotrofio e gli fu lasciato soltanto un bambino. Così ora aveva un bambino ma non una famiglia, e naturalmente non poteva allevarlo da solo. Così cominciò a pensare al matrimonio. Ma poiché non si era mai innamorato di una ragazza era molto perplesso.

Poi suo fratello maggiore divorziò dalla moglie e così egli decise di sposare l'ex-cognata. Le scrisse a Parigi, per dirle le sue intenzioni. La donna aveva diciassette anni più di lui, ma non rifiutò la proposta. Lo invitò a Parigi per parlare della faccenda. Ma, alla vigilia della partenza, il destino volle che gli si conficcasse un chiodo in un piede, cosicché non potè partire. Dopo qualche tempo, quando la ferita fu rimarginata, andò a Parigi e scoprì che aveva immaginato sua cognata, che adesso era la sua fidanzata, molto più giovane e più carina di quanto non fosse in realtà. Comunque, il matrimonio ebbe luogo e, tre mesi dopo, su iniziativa della moglie, anche il primo coito. Egli non ne aveva il minimo desiderio. Allevarono insieme il bambino, lui alla maniera svizzera, lei al modo parigino, poiché era francese. Quando il piccolo aveva nove anni fu investito e ucciso da un ciclista. Il pa-ziente sentì allora la casa vuota e triste; propose alla moglie di adottare una ragazza, ma la donna ebbe una crisi di gelosia furiosa. In seguito, per la prima volta nella vita, il paziente si innamorò di una ragazza giovanissima, e contemporaneamente insorse la nevrosi con profonde depressioni e un esaurimento nervoso, perché nel frattempo la sua vita in casa era diventata un inferno.

Il mio suggerimento di separarsi dalla moglie non fu preso in considerazione perché non poteva sopportare l'idea di rendere infelice la moglie ormai anziana. Ovviamente, preferì continuare a tormentarsi perché i ricordi della sua giovinezza gli sembravano più preziosi di ogni gioia presente.

Anche questo paziente visse tutta la sua vita entro il magico cerchio della costellazione familiare. Il fattore più potente e più importante fu la relazione con il padre; il suo atteggiamento masochista-omosessuale è evidente in ogni cosa che intraprese. Anche lo sfortunato matrimonio fu determinato dal padre, perché il paziente sposò la moglie divorziata del fratello maggiore, il che vuol dire che sposò la madre. Nello stesso tempo, la moglie era il sostituto-madre della donna che era morta di parto. La nevrosi si stabilì nel momento in cui la libido si ritirava dalla rela-zione infantile e quando per la prima volta si avvicinava ad un meta individualmente determinata. In questo, come nel caso precedente, la costellazione familiare si è dimostrata troppo forte, cosicché lo stretto campo della nevrosi era tutto quello che era stato lasciato in sospeso nella lotta per l'individualità.

IlI CASO

Una contadina di trentasei anni, di intelligenza media, aspetto sano, una costituzione robusta, madre di tre bambini. Condizioni economiche buone. Venne in clinica per queste ragioni: per alcune settimane era stata terribilmente infelice, molto ansiosa, dormiva male, faceva dei sogni terrificanti e anche di giorno soffriva di ansietà e di depressioni. Affermò che tutte queste cose non avevano fondamento e che ella stessa ne era sorpresa. Dovette ammettere che il marito aveva pienamente ragione quando diceva che il tutto era una «sciocchezza». Tuttavia, non riusciva a superarla. Molto spesso dei pensieri strani le attraversavano la mente; stava per morire e sarebbe andata all'inferno. Andava molto d'accordo con il marito.

L'esame di questo caso portò i seguenti risultati. Qualche settimana prima le era accaduto di ritrovare alcuni libretti religiosi che giravano per casa da lungo tempo, senza però che li avesse mai letti. Da questi libri apprese che le persone che bestemmiavano andavano all'inferno. Questo fatto la colpì moltissimo e sin da allora pensò che doveva impedire alla gente di bestemmiare, altrimenti anche lei sarebbe andata all'inferno. Circa due settimane prima che leggesse questi libretti, suo padre, che viveva con lei, era morto improvvisamente di un colpo apoplettico. Non fu realmente presente alla sua morte ma arrivò soltanto quando era già morto. Ne provò un gran dolore e un grande terrore.

Nei giorni che seguirono la morte del padre pensò molto a tutto questo, chiedendosi perché era morto così improvvisamente. Durante queste meditazioni ri-cordò all'improvviso le ultime parole che aveva udito dire dal padre: «Sono uno di quelli che finiranno nelle grinfie del diavolo». Questo ricordo la riempì di paura, e le venne in mente anche che spesso il padre bestemmiava selvaggiamente. Cominciò anche a domandarsi se c'era veramente una vita dopo la morte e se il padre era in cielo o all'inferno. Durante queste riflessioni ritrovò i libretti e cominciò a leggerli finché non arrivò al punto in cui viene detto che le persone che bestemmiano vanno all'inferno. Fu presa dalla paura e dal terrore; si rimproverò duramente, avrebbe dovuto impedire al padre di bestemmiare e meritava di essere punita per la sua negligenza. Sarebbe morta e sarebbe stata condannata all'inferno. Da quel momento in poi fu piena di dolore e di malumori, tormentò il marito con la sua idea ossessiva e fuggì la gioia e l'allegria.

La storia della vita della paziente era questa: era la più giovane di cinque fratelli e sorelle ed era sempre stata la preferita del padre. Se poteva, il padre le dava tutto quello che voleva. Se desiderava un vestito nuovo e la madre glielo rifiutava, poteva essere sicura che il padre gliene avrebbe portato uno non appena fosse andato in città. La madre mori prematuramente. A ventiquattro anni sposò un uomo che scelse lei, contro la volontà del padre, che disapprovava decisamente la sua decisione sebbene non avesse nulla in particolare contro l'uomo. Dopo il matrimonio fece venire il padre a vivere con loro. Le sembrava una cosa ovvia, poiché gli altri non avevano mai chiesto al padre di andare a vivere con loro. In realtà era un vecchio attaccabrighe, sboccato e ubriacone. Marito e suocero, come si può facilmente immaginare, non andarono affatto d'accordo. C'erano liti e alterchi senza fine, malgrado il fatto che la paziente andasse a cercare nella osteria da bere per il padre. Comunque, ammetteva che il marito aveva ragione. Era un buon uomo paziente con solo una manchevolezza: non ubbidiva sufficientemente al padre. Trovava questo fatto incomprensibile e avrebbe preferito piuttosto vedere il marito sottomesso al padre. Per quanto dica e faccia, un padre è sempre un padre. Durante le frequenti liti, prendeva sempre le parti del padre. In realtà non aveva niente da dire contro il marito, che normalmente aveva ragione nelle sue proteste; ma anche così pensava che si dovesse sempre stare dalla parte del padre.

Presto cominciò a pensare di aver peccato contro il padre sposandosi contro la sua volontà, e spesso sentiva, dopo una di queste incessanti discussioni, che il suo amore per il marito era morto. E dalla morte del padre fu impossibile amarlo ancora, perché la sua disobbedienza di solito era stata la causa degli accessi di rabbia e delle bestemmie del padre. Quando ormai queste discussioni erano diventate insopportabili per il marito, egli la indusse a cercare in un'altra casa una stanza per il padre; questi vi abitò per due anni, e durante questo tempo marito e moglie vissero felici e tranquilli. Ma a poco a poco la paziente cominciò a rimproverarsi di permettere che il padre vivesse da solo; malgrado tutto era sempre suo padre. E alla fine, nonostante le proteste del marito, lo riportò a casa perché, come disse, in fondo amava più il padre del marito. Appena il padre tornò a casa scoppiarono di nuovo le liti. E andò avanti così finché il padre non morì.

Dopo aver raccontato la storia scoppiò in una serie di lamenti; doveva divorziare dal marito, l'avrebbe fatto da molto tempo se non fosse stato per i bambini. Aveva commesso un grosso sbaglio, aveva peccato gravemente. sposando il marito contro la volontà del padre. Avrebbe dovuto accettare l'uomo che il padre le aveva destinato; questi avrebbe senz'altro ubbidito al padre e tutto sarebbe andato bene. Oh, si lamentava, suo marito non era buono come il padre, poteva fare tutto per il padre, ma non per il marito. Suo padre le aveva sempre dato tutto quello che voleva. E adesso voleva soprattutto morire, così sarebbe stata insieme a lui.

Quando finirono queste lamentele, le domandai incuriosito perché aveva rifiutato per marito l'uomo che le aveva proposto il padre.

Sembra che il padre, che possedeva un piccolo podere, avesse preso come aiutante, proprio al tempo della nascita della figlia più piccola, un povero ragazzo, un trovatello. Il ragazzo crebbe, e divenne col tempo un essere assolutamente sgradevole: era tanto stupido che non riuscì ad imparare né a leggere, né a scrivere, né a parlare correttamente. Era completamente idiota. Quando si avvicinò all'età virile, gli scoppiarono sul collo delle ulcere, alcune delle quali aperte, che mandavano continuamente pus, dando così a questa sporca, brutta creatura, un aspetto veramente orribile. La sua intelligenza non crebbe con gli anni, e così rimase aiu-tante di fattoria senza una paga riconosciuta.

Il padre voleva far sposare questo imbecille alla figlia preferita.

Fortunatamente, la ragazza non era stata disposta a cedere, ma ora lo rimpiangeva, perché sicuramente questo idiota sarebbe stato molto più obbediente al padre che non quel brav'uomo del marito.

Qui, come nel caso precedente, si deve comprendere chiaramente che la paziente non era affatto debole di mente. Entrambi possedevano un'intelligenza normale, sebbene i paraocchi della costellazione infantile impedissero loro di usarla. Questo appare molto chiaramente dalla storia della vita di questa paziente. L'autorità del padre non è stata mai messa in dubbio. Non fa la minima differenza per lei che questi fosse un irascibile vecchio ubriacone, l'ovvia causa di tutti i litigi e dei dissensi; al contrario, suo marito doveva inchinarsi davanti a questo orco, e infine la nostra paziente arriva persino a rimpiangere il fatto che non sia riuscito a distruggere la sua felicità. Così ora tentava di distruggersi da sola con la sua nevrosi, che la costringeva ad ammettere il desiderio di morire per potere andare all'inferno — dove, è da notare, si trovava già il padre.

Se mai siamo disposti a vedere all'opera qualche forza demoniaca che controlla il nostro destino mortale, possiamo vederla certamente in queste tristi e silenziose tragedie che si esauriscono, lentamente e angosciamente, nelle anime malate dei nostri nevrotici. Alcuni, passo dopo passo, lottano continuamente contro la forza invisibile, per liberarsi dalle grinfie del demonio che guida le sue vittime ignare, da un destino crudele ad un altro; altri risorgono e si liberano soltanto per essere poi riportati indietro sui vecchi sentieri presi per il naso dalla nevrosi. Non si può sostenere che queste infelici persone siano sempre nevrotiche o «degenerate». Se noi, gente normale, esaminiamo le nostre vite dal punto di vista psicoanalitico, percepiamo la presenza di una mano potente che ci guida senza fallo verso il nostro destino, e non sempre è una mano gentile6. Spesso la chiamiamo la mano di Dio o del diavolo; la potenza della costellazione infantile ha fornito un materiale altamente convincente per le religioni nel corso dei millenni.

Tutto questo non vuol dire che dobbiamo dare la colpa del peccato originale ai nostri genitori. Un bambino sensibile, la cui comprensione è soltanto troppo rapida nel riflettere nella psiche gli eccessi dei genitori, si accolla il biasimo del suo fato nel suo stesso carattere. Ma, come dimostra il nostro ultimo caso, non è sempre così, perché i genitori possono (e sfortunatamente lo fanno soltanto troppo spesso) istillare il male nell'animo del bambino, frodando la sua ignoranza per renderlo schiavo dei loro complessi.

Nel nostro caso è fin troppo ovvio ciò che il padre voleva fare, e perché voleva far sposare la figlia a quella creatura abbrutita: voleva tenerla con sé e renderla sua schiava per sempre. Ciò che faceva non era altro che una crassa esagerazione di ciò che hanno fatto migliaia di genitori cosiddetti rispettabili e colti, e per di più orgogliosi delle loro idee avanzate. Il padre che critica ogni segno di indipendenza emotiva nei figli, che vezzeggia le figlie con un mal celato erotismo e le tirannizza sui loro sentimenti, che tiene al guinzaglio o costringe i figli ad un particolare tipo di lavoro, e infine ad un matrimonio «conveniente », la madre che anche nella culla eccita i figli con una insalubre tenerezza che in seguito li renderà dei burattini schiavi e che poi alla fine rovinerà la loro vita amorosa per la sua gelosia: queste persone agiscono sulla base di un principio niente affatto differente da quello di questo rozzo contadino. Ci si domanderà in cosa consista il potere magico che lega i genitori ai figli, spesso per tutta la vita. Lo psicoanalista sa che non è altro che sessualità da entrambe le parti.

Tentiamo sempre di non ammettere la sessualità nei bambini. Ma questo è dovuto soltanto ad un'ignoranza ostinata, che ancora predomina.

Non ho fornito una vera analisi di questi casi. Non sappiamo dunque cosa accadde a questi fantocci del destino quando erano bambini. Una profonda intuizione della vita dell'animo di un bambino, come non ne abbiamo mai avuta prima, ci viene data nell'attuale volume semestrale dello «Jahrbuch», dal contributo di Freud Analisi di una fobia in un bambino di cinque anni. Se mi avventuro ad offrire, dopo la magistrale presentazione di Freud, un altro piccolo contributo allo studio della psiche del bambino, è perché mi sembrano sempre preziose le storie dei casi psicoanalitici.

IV CASO

Un ragazzo di otto anni, intelligente, dall'aspetto delicato, mi fu portato dalla madre perché afflitto da enuresi. Durante la visita il bimbo si aggrappò alla madre, una donna giovanile e molto carina. Il matrimonio era molto felice, ma il padre era molto severo, e il ragazzo (figlio maggiore) lo temeva alquanto. La madre compensava la severità del padre con una tenerezza equivalente, alla quale il ragazzo rispondeva tanto che non si allontanava mai da lei. Non aveva mai giocato con i compagni di scuola e non era mai andato solo per la strada se non quando doveva andare a scuola. Temeva la rozzezza e la violenza e si dedicava a giochi tranquilli, oppure aiutava la madre nelle faccende di casa. Era molto geloso del padre e non poteva sopportare il fatto che dimostrasse della tenerezza per la madre.

Presi il ragazzo da una parte e gli domandai dei suoi sogni. Molto spesso sognava di un serpente nero che voleva mordergli il viso. Poi piangeva e la madre doveva venire nella sua stanza per stare accanto a lui.

La sera andava tranquillamente a letto. Ma quando si addormentava gli sembrava che un cattivo uomo nero con una spada o con una pistola, fosse con lui nel letto, un uomo alto e magro che voleva ucciderlo. I genitori dormivano nella stanza vicina. Il ragazzo spesso sognava che qualcosa di tremendo stava succedendo nella stanza dei genitori, come se ci fossero stati dei grandi serpenti neri o degli uomini malvagi che volevano uccidere la mamma. Poi gridava e la mamma andava a confortarlo. Tutte le volte che bagnava il letto chiamava la madre che gli doveva cambiare le lenzuola.

Il padre era un uomo alto e magro. Tutte le mattine rimaneva nudo nel bagno in piena vista del bambino per farlo assistere alle sue abluzioni. Il ragazzo mi disse anche che la notte spesso si svegliava di soprassalto al suono di strani rumori provenienti dalla stanza vicina; poi si spaventava sempre a morte all'idea che stesse succedendo qualcosa di terribile, una specie di lotta, ma la madre lo tranquillizzava e gli diceva che non era niente.

Non è difficile comprendere cosa accadeva nell'altra stanza. Ed è ugualmente facile immaginare quale fosse lo scopo del bambino nel chiamare la madre: era geloso e voleva separarla dal padre. Lo faceva anche durante il giorno ogni volta che vedeva il padre carezzarla. Fin qui il ragazzo era semplicemente il rivale del padre nell'amore per la madre.

Ma ora arriviamo al fatto che il serpente e l'uomo cattivo minacciavano anche lui: gli accade la stessa cosa che accade alla madre nella stanza vicina. In questa misura si identifica con la madre e si pone così in una relazione simile con il padre. Questo è dovuto alla sua componente omosessuale, che lo fa sentire femminile nei confronti del padre. Non è difficile comprendere, dal punto di vista freudiano, cosa significhi in questo caso il fatto di bagnare il letto. I sogni di minzione ce ne danno la traccia. Vorrei riportare il lettore ad un'analisi di questo genere nel capitolo L'analisi dei sogni (cfr. sopra). Il fatto di bagnare il letto deve essere considerato come un sostituto sessuale infantile, e anche nelle fantasticherie degli adulti può essere usato facilmente come copertura alla pressione del desiderio sessuale.

Questo piccolo esempio dimostra ciò che accade nella psiche di un bambino di otto anni che è troppo dipendente dai genitori; la colpa di tutto sta nella eccessiva severità del padre e nell'eccessiva tenerezza della madre.

È chiaro che l'atteggiamento infantile altro non è che la sessualità infantile. Se esaminiamo tutte le più recondite potenzialità della costellazione infantile, ci sentiamo costretti a dire che l'essenza del destino della nostra vita è identica al destino della nostra sessualità. Se Freud e la sua scuola si dedicano soprattutto a rintracciare la sessualità dell'individuo, non lo fanno certamente per suscitare sensazioni piccanti, ma per avere una maggiore conoscenza delle forze motrici che determinano il destino dell'individuo. In questo caso non diciamo molto, ma piuttosto lo comprendiamo. Perché, quando strappiamo i veli che nascondono i problemi del destino dell'individuo, allarghiamo immediatamente il nostro campo visivo dalla storia dell'individuo alla storia delle nazioni. Possiamo dare uno sguardo, prima di tutto, alla storia della religione, e alla storia della fantasia di interi popoli e di intere epoche. La religione del Vecchio Testamento esalta il pater familias nel Geova degli Ebrei, al quale dovevano obbedire nel timore e nel terrore. I patriarchi erano un trampolino verso la Deità. Il timore nevrotico nel Giudaismo, un tentativo imperfetto, o in ogni modo fallito, di sublimazione da parte di un popolo ancora barbaro, nasce dall'eccessiva severità della legge di Mosè, il cerimoniale coercitivo del nevrotico 9. Soltanto i profeti erano in grado di liberarsi da tutto questo; perché la loro identificazione con Geova, la sublimazione compietà, era riuscita. Divennero i padri del popolo. Gesù Cristo, l'esecutore delle loro profezie, mise fine a questo timore del Dio e insegnò al genere umano che la vera relazione con la Deità è l'amore. Così distrusse il cerimoniale coercitivo della legge, ed egli stesso fu l'esponente della relazione d'amore personale con Dio. In seguito, le sublimazioni imperfette della Messa Cristiana riapparvero ancora una volta nel ce-rimoniale della Chiesa, dalle quali riuscirono a liberarsi soltanto quei santi e quei riformatori veramente capaci di sublimazione. Quindi non è senza una causa che la teologia moderna parla dell'effetto liberatorio dell'esperienza «intima» o «personale», perché lo amore tramuta sempre il timore e la costrizione in un genere di sentimento più alto e più libero.

Ciò che vediamo decretato nella storia nel mondo, accade anche nell'individuo. Il bambino è guidato sia dalla potenza dei genitori sia da un destino più alto. Ma quando cresce, comincia la lotta tra il suo atteggiamento infantile e la sua coscienza che matura. L'influenza dei genitori, che risale al primo periodo infantile, viene repressa e affondata nell'inconscio, ma non eliminata; per mezzo di fili invisibili guida il funzionamento evidentemente individuale della mente che matura. Come ogni cosa caduta nell'inconscio, la situazione infantile manda su oscure sensazioni premonitrici, le sensazioni di essere segretamente guidati da influenze ultraterrene.

Queste sono le radici delle prime sublimazioni religiose. Al posto del padre con le sue virtù e le sue colpe dal potere di costellazione, appare da una parte una deità nell'insieme sublime e dall'altra il male che nei tempi moderni è stato molto ridotto dalla comprensione della propria responsabilità morale. Lo amore sublime viene attribuito al primo, la volgare sessualità al secondo. Non appena entriamo nel campo della nevrosi, questa antitesi viene portata al massimo; Dio diventa il simbolo della concupiscenza sessuale. Così, quell'espressione conscia della costellazione paterna, come ogni espressione di un complesso inconscio che appare nella coscienza, acquista la duplicità di Giano, cioè i suoi componenti positivi e negativi.

Un esempio molto conosciuto e istruttivo del comportamento ambivalente della imago paterna è l'episodio d'amore nel Libro di Tobia. Sara, la figlia di Raguel e di Ectabana, desidera sposarsi. Ma il destino avverso vuole che per sette volte, una dopo l'altra, scelga un marito che muore la notte delle nozze. E lo spirito maligno di Asmodeo, che la perseguita, che li uccide. Prega allora Geova di farla morire piut-tosto che patire ancora questa vergogna, perché viene disprezzata persino dalla serva del padre. Dio le manda un ottavo sposo, il cugino Tobia e figlio di Tobit. Anch'egli viene portato nella stanza nuziale. Allora il vecchio Raguel, che aveva soltanto finto di andare a letto, esce e scava la tomba per il genero, e il mattino seguente manda una serva a vedere se è morto. Ma questa volta il ruolo di Asmodeo è finito, perché Tobia è vivo.

Sfortunatamente l'etica professionale mi proibisce di riferire di un caso di isteria che si adatta esattamente a questo modello, tranne per il fatto che i mariti non erano sette ma soltanto tre, scelti disgraziatamente sotto il segno di un'infausta costellazione infantile. Anche il nostro primo caso appartiene a questa categoria, e nel terzo caso vediamo il vecchio contadino al lavoro che si prepara a consacrare la figlia allo stesso destino.

Da figlia pia e devota (cfr. la sua preghiera nel Tobit, cap. 3°), Sara ha conseguito la solita sublimazione e la solita spaccatura nel complesso del padre, elevando da una parte il suo amore infantile fino all'adorazione di Dio, e dall'altra parte facendo diventare il potere ossessivo del padre il demone Asmodeo. La storia viene meravigliosamente elaborata e mostra Raguel nei suoi due ruoli, quello del padre inconsolabile della sposa e quello dello scavatore della tomba del genero del quale prevede il destino.

Questa graziosa favola è diventata un esempio classico nel mio lavoro analitico, perché spesso incontriamo dei casi in cui il padre-demonio ha steso la sua mano sopra tutta la vita della figlia, cosicché anche quando si sposa, non avviene mai per lei una vera unione spirituale, perché l'immagine del marito non riesce mai ad obliterare l'ideale infantile paterno inconscio e sempre in atto. Questo è valido sia per le figlie sia per i figli maschi. Un eccellente esempio di questo genere di costellazione paterna si può trovare nella recente pubblicazioni di Brill Fattori psicologici nella demenza precoce (1908).

Secondo la mia esperienza, il padre è sempre l'oggetto decisivo e più pericoloso della fantasia del bambino, e se qualche volta è accaduto che questo ruolo fosse coperto dalla madre, sono sempre stato in grado di scoprire dietro di lei un nonno al quale ella aveva dato il suo cuore.

Sono costretto a lasciare aperta la questione, perché le mie scoperte non sono sufficienti a garantire una conclusione. Spero che l'esperienza degli anni futuri scavi più a fondo in questa terra oscura, sulla quale sono stato in grado di far luce solo in modo insufficiente, e che scoprirà molto di più sul lavoro segreto del demonio che modella il nostro fato, e del quale Orazio dice:

Seit Genius natale comes qui temperat astrum, Naturae derus humanae, mortalis in unum, Quodque caput, vultu mutabilis, albus et ater.